ANNO 14 n° 110
Proust in cucina, Cipolla & patate
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
11/08/2014 - 00:01

di Massimiliano Capo

VITERBO - Mi ricordo le mani nodose e scure. Mi ricordo la pelle bruciata dal sole e i capelli corti e ormai bianchi.

Mi ricordo le spalle larghe e la schiena dritta.

 

Mi ricordo le camicie a quadri per la campagna e quelle azzurre per uscire in piazza.

 

Mi ricordo la canottiera di cotone bianco d’estate e la maglia di lana d’inverno.

 

Mi ricordo l’odore del sapone di marsiglia e le mani della nonna sotto l’acqua gelata.

 

Mi ricordo i panni battuti forte al lavatoio e i fili stesi fuori di casa, colorati di bianco e di azzurro con le mollette rosse e arancio e giallo e blu.

 

Mi ricordo il muro scrostato e la bicicletta appoggiata con le ruote grandi e i freni a bacchetta rovinata dal tempo e dalla pioggia.

 

Mi ricordo la panchina verde che scottava al sole ed era fredda di sera con le donne sedute e fare la maglia per un padrone lontano e invisibile a raccontarsi storie di tempi lontani, fatte di gioie piccole e intense.

 

Mi ricordo la moto che tornava dalla campagna con sopra il fratello della nonna e tutti a chiedergli che tempo avrebbe fatto l’indomani e lui a guardare l’orizzonte e ad interpretare il colore del tramonto e l’andamento del vento.

 

Mi ricordo l’attesa del comunicato, così chiamavano il radiogiornale in quel paese sul lago, e il silenzio che colpiva improvviso la via al cinguettio che faceva da sigla al segnale orario e dava poi spazio alle notizie.

 

Mi ricordo che nei pomeriggi più caldi, all’ombra delle persiane accostate, mentre tutti dormivano, aprivo i cassetti e cercavo tra le foto la storia della mia famiglia. Foto ormai sbiadite, quasi semprecolor seppia, in cui spesso le figure erano poco più che fantasmi. Molte di queste erano state fatte in Africa, dove il nonno era andato a fare la guerra, a conquistare le colonie, nell’unico viaggio di tutta la vita spesa poi tutta intorno e dentro alle terre del suo paese. In quelle foto era lì, impalato nella posa di tutte le foto di guerra, col cappello duro in mano, un vaso sorretto da un trespolo al fianco, dietro la carta da parati con gli arabeschi leggeri e a terraimprobabili tappeti dal gusto orientale. Dietro c’è una data vergata a mano e nelle foto in cui non è solo, il nome del commilitone e dei commilitoni che con lui hanno condiviso quell’avventura. La faccia bruciata dal sole come quando andava a trebbiare e gli stessi segni di sempre sul volto, fatti della fatica e del dolore della distanza.

 

Mi ricordo che io quei segni sul viso li ho rivisti al mercato del pesce di Tokyo ed erano le cinque di mattina. A Tokyo il mercato del pesce è uno dei più grandi del mondo. A Tokyo la fatica ha la faccia pulita. Come sempre. Come ovunque.

 

Mi ricordo che mio nonno suonava la tromba nella banda del paese e io con lui andavo alle prove ad ascoltare quel gruppo di braccianti guidati dal maestro di musica che provavano e riprovavano per accompagnare la processione di agosto.

 

Mi ricordo che preparavano i pezzi con cura, spesso senza saper leggere la musica, e che, prova e riprova, arrivavano a comporre un programma che poi avrebbero riproposto in piazza il giorno dopo la processione fatto anche di brani d’opera e canzoni popolari.

 

Mi ricordo che al nonno caddero i denti con l’avanzare dell’età e dalla tromba passò al bassotuba. Il bassotuba è lo strumento che col suo suono pieno riempie il pezzo, da corpo e sostanza alla musica, e io lo guardavo passare orgoglioso, col cappello e la divisa azzurra e blu, soffiare con le guance gonfie nel suo strumento. Poi cambiò ancora, gli strumenti a segnare il passare degli anni, e prese in mano la grancassa e avrei voluto suonarla anche io, a comandare con il mio tempo quello di tutti gli altri.

 

Mi ricordo che poi un giorno il nonno si ammalò ad una gamba e morì poco dopo con l’ostinazione di tutta la vita. Perché anche amorire ce ne vuole.

 

Mi ricordo i baci appoggiato a quel muro scrostato e mi ricordo l’attesa del buio e che tutti fossero a letto per poterla abbracciare, finalmente soli, in quella estate ventosa e fredda di tanti anni fa.

 

Mi ricordo che pensavo fosse l’amore di tutta la vita ed è durato il tempo di tornare ognuno nella propria città. Una lezione che ho mandato a memoria. Così come che per costruire un amore che duri ci vogliono competenze da architetto e saper calcolare spintee controspinte, malte e dosaggi.

 

Mi ricordo il cinema all’aperto e mi ricordo i vecchi con le sedie portate da casa prender posto davanti al grande schermo e aspettare che la magia delle immagini facesse il suo corso.

 

Mi ricordo di un concerto di canzoni romane e mi ricordo le facce felici di chi le sapeva tutte a memoria.

 

E mi ricordo anche di due piatti che mi accompagnano da allora.

Il primo è la frittata con le cipolle che tante volte ho visto preparare dalla nonna e poi metterla tra due fette di pane e quindi nella borsa del nonno per fare merenda a metà mattina.

Il secondo è lo sformato di patate che vedo fare ancora dalla mamma e che d’estate è buonissimo.

Buona pappa.

 

La frittata con le cipolle si fa così:

6 uova

400 grammi di cipolle rosse

3 cucchiai di olio

sale, pepe q.b.

Per prima cosa sbucciate e mondate la cipolla, tagliatela a metà e poi in spicchiQuindi in una ciotola capiente mettete le uova sgusciate, salate e pepate a piacere. Poi con una forchetta sbattete le uova fino a ottenere un composto omogeneo. Prendete una padella capiente dal fondo antiaderente con 3 cucchiai di olio d'oliva e mettetela a scaldare sul fuoco. Quando l'olio è caldoaggiungete la cipolla e fatela appassire a fuoco vivace per 4 minuti, poi abbassate la fiamma e continuate la cottura a fuoco dolce fino a che le cipolle si saranno ammorbidite e aggiustate di sale. Quando le cipolle risulteranno ben cotte ma ancora intere aggiungete le uova sbattute in padella e fate in modo che tutte le cipolle siano coperte. Lasciate cuocere la frittata circa 4 minuti a fuoco dolce e coprite con un coperchio ricordandovi di girarla.

 

Lo sformato di patate cosi:

700 grammi di patate

200 grammi di piselli

60 grammi di pancetta

2 uova

70 grammi di parmigiano

20 grammi di burro

sale, pepe, brodo vegetale q.b.

Iniziate lessando 700 gr di patate in abbondante acqua salata per circa 40 minuti. Nel frattempo rosolate in un pentolino antiaderente la pancetta affumicata a cubetti e, a cottura quasi ultimata, aggiungete i piselli. Portate i piselli a cottura, aggiungendo se necessario qualche cucchiaio di brodo vegetale o di acqua calda. Sbucciate le patate che avete lessato e passatele allo schiacciapatate per ottenere una purea, aggiungete quindi il misto di piselli e pancetta, le uova, il parmigiano grattugiato, e il latte; poi mescolate bene per amalgamare gli ingredienti, aggiustate di sale e pepate a piacere. Foderate una teglia di carta da forno e aggiungete il composto fino a colmare i bordi. Spolverizzate con il parmigiano grattugiato e completate con deifiocchetti di burro. Infornate lo sformato per 30 minuti a 180°C.





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