ANNO 14 n° 88
Proust in cucina, Che palle l'inverno
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
10/11/2014 - 02:01

di Massimiliano Capo

VITERBO - Ecco, l’inverno ha fatto capolino col suo seguito di freddo vento e  e io mi sono preso il raffreddore.

Uno di quei raffreddori atomici a cui cerchi dapprima di rispondere facendo finta di nulla e allora esci e continui a fare le tue cose ma che alla fine, come sempre, avrà la meglio sul tuo fisico di merda.

E allora arrivi a casa che ti sembra di aver corso la maratona di New York, con tutte le ossa doloranti, il naso che ti cola, la gola che ti arde e non ti resta che godere alla vista della cialda di tachipirina, di un letto caldo e di un brodino.

Mentre stavo così, sotto il piumone, cercando di non pensarci, mi è tornato in mente un vecchio articolo, pubblicato non ricordo più dove, che si intitolava Elogio dell’influenza e che, in soldoni, diceva così: non lamentatevi troppo dell’influenza, anzi accoglietela come un momento di sospensione del flusso ordinario della vita, della catena sveglia lavoro relax ninne che spesso assume i contorni della noia. E in quei pochi giorni costretti a letto approfittatene per dedicarvi le attenzioni che spesso trascurate di concedervi: leggete, poltrite, pensate, insomma, pur in quella condizione, godete del tempo finalmente liberato dagli affanni quotidiani.

Io non arriverò mai ad elogiarla ma visto che l’inverno prima o poi arriva e insieme a lui tutti i malanni di stagione ho deciso di approfittarne.

E allora ho raggiunto la libreria e mi sono messo a cercare senza una meta precisa tra i libri e alla fine ne ho tirato fuori una vecchia copia di un vecchio romanzo di Piero Chiara che si intitola Il cappotto di astrakan. Dal libro hanno anche tratto un film con Johnny Dorelli ma con la trama del romanzo ha poco a che fare. Lo avevo letto anni fa e lo ricordavo come piacevole. L’ho riaperto e mi sono subito rituffato nella storia del protagonista, stancamente emigrato a Parigi per avere delle storie da raccontare al ritorno al paese, del suo amore per Valentine, delle sue domande sul senso della vita e soprattutto nella descrizione della vita in provincia, incredibilmente sempre uguale a se stessa anche a distanza di molti anni.

E mentre leggevo, di libro me ne è venuto in mente un altro.

Lo ha scritto GIlles Deleuze e si intitola Marcel Proust e i segni. Deleuze è un filosofo e il libro, il librino viste le poche pagine che lo compongono, è dedicato alla Recherche che di Proust è certamente il libro più noto.

Sono andato a cercarlo e cominciato a scorrere con gli occhi la prima pagina e poi la seconda e via andando, cercando di scoprire cosa me lo avesse fatto tornare in mente leggendo Piero Chiara. Certamente Parigi e altrettanto sicuramente il continuo attingere alla memoria dei luoghi e dei volti che fa anche il protagonista de Il cappotto di astrakan.

Però a me del librino di Deleuze, dopo un po’ che ci stavo dentro, mi ha colpito un’altra cosa:

intanto che per lui la Recherche è il racconto di un ‘’apprendimento’’ più che una storia che ha il suo centro intorno alla memoria (come di solito si dice e si legge e che qui diviene solo uno strumento in questo percorso di formazione) ma, soprattutto, questa considerazione sull’amore: ‘’Innamorarsi vuol dire individualizzare qualcuno attraverso i segni che porta o che emette. Vuol dire diventare sensibile a questi segni, iniziarsi ad essi. L’amicizia può forse nutrirsi di osservazione  e di conversazione, ma l’amore nasce e si nutre d’interpretazione silenziosa. L’essere amato appare come un segno, un’anima: esprime un mondo possibile a noi sconosciuto. L’amato implica, include, imprigiona un mondo che occorre decifrare, e cioè interpretare. Si tratta anzi di una pluralità di mondi. Amare è cercare di spiegare, di sviluppare questi mondi sconosciuti che restano avviluppati nell’amato.

C’è dunque una contraddizione nell’amore. Non possiamo interpretare i segni di un essere amato senza sboccare in mondi che non hanno aspettato noi per formarsi, che si formarono con altre persone, e nei quali siamo solo un oggetto tra gli altri. L’amato ci da segni di preferenza; ma poiché quei segni sono i medesimi che esprimono mondi di cui non facciamo parte, ogni preferenza di cui profittiamo traccia l’immagine del mondo possibile dove altri sarebbero o sono preferiti. La contraddizione dell’amore consiste in questo: i mezzi su cui contiamo per preservarci dalla gelosia sono gli stessi mezzi che alimentano questa gelosia, conferendole una specie di autonomia, d’indipendenza rispetto al nostro amore’’.

E via così. E ce ne sarebbe da dire ancora.

Ma è tardi, la cartella è finita e dalla cucina sale il profumo della zuppa di cipolla di mamma Silvana, francese come mai prima.

 

Ingredienti per 4 persone

 

Cipolle dorate 500 g

Zucchero 1 cucchiaino

Burro 50 g

Olio 4 cucchiai

Pepe nero q.b.

Brodo di manzo 1 litro circa

Farina 20 g

Sale q.b.

 

Per la gratinatura

Pane baguette 12 fette

Groviera (o Emmenthal) grattugiato 100 gr

 

Mondate le cipolle e tagliatele ad anelli sottilissimi. Ponetele poi in un tegame con 50 g di burro e 3-4 cucchiai d’olio.

Lasciate cuocere a fuoco basso per 10 minuti, poi aggiungete un cucchiaino di zucchero e procedete con la cottura a fuoco moderato finchè le cipolle sudino senza prendere colore;

fate molta attenzione a non farle scurire in nessun punto. Quando cominceranno a divenire leggermente bionde, spolveratele con la farina, che farete cadere da un setaccio (colino), quindi  mescolate con cura per qualche minuto. A questo punto aggiungete il brodo (oppure, per rendere la zuppa più ricca potete sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco o un bicchierino di brandy) che, secondo gli antichi testi francesi, dovrebbe essere preparato con la coda di bue; lasciate sobbollire per almeno 30 minuti a fuoco moderato, aggiungendo del brodo quando serve.

Quando la zuppa sarà cotta, aggiustate di sale e pepe e versate il tutto in quattro contenitori da forno; affettate il pane (se proprio volete essere fedeli alla ricetta procuratevi una baguette) e abbrustolitelo.

Adagiate le fette di pane sulla superficie della zuppa e ricoprite con abbondante groviera o emmenthal grattugiati  (o formaggi similari). Ponete quindi i 4 contenitori nel forno preriscaldato a 250°C (o nella salamandra) per il tempo necessario affinché si formi una crosticina dorata sulla superficie della zuppa (pochi minuti). 

Servite la zuppa di cipolle gratinata caldissima.

 

 

Ecco, l’inverno ha fatto capolino col suo seguito di freddo vento e pioggia e io mi sono preso il raffreddore.
Uno di quei raffreddori atomici a cui cerchi dapprima di rispondere facendo finta di nulla e allora esci e continui a fare le tue cose ma che alla fine, come sempre, avrà la meglio sul tuo fisico di merda.
E allora arrivi a casa che ti sembra di aver corso la maratona di New York, con tutte le ossa doloranti, il naso che ti cola, la gola che ti arde e non ti resta che godere alla vista della cialda di tachipirina, di un letto caldo e di un brodino.
Mentre stavo così, sotto il piumone, cercando di non pensarci, mi è tornato in mente un vecchio articolo, pubblicato non ricordo più dove, che si intitolava Elogio dell’influenza e che, in soldoni, diceva così: non lamentatevi troppo dell’influenza, anzi accoglietela come un momento di sospensione del flusso ordinario della vita, della catena sveglia lavoro relax ninne che spesso assume i contorni della noia. E in quei pochi giorni costretti a letto approfittatene per dedicarvi le attenzioni che spesso trascurate di concedervi: leggete, poltrite, pensate, insomma, pur in quella condizione, godete del tempo finalmente liberato dagli affanni quotidiani.
Io non arriverò mai ad elogiarla ma visto che l’inverno prima o poi arriva e insieme a lui tutti i malanni di stagione ho deciso di approfittarne.
E allora ho raggiunto la libreria e mi sono messo a cercare senza una meta precisa tra i libri e alla fine ne ho tirato fuori una vecchia copia di un vecchio romanzo di Piero Chiara che si intitola Il cappotto di astrakan. Dal libro hanno anche tratto un film con Johnny Dorelli ma con la trama del romanzo ha poco a che fare. Lo avevo letto anni fa e lo ricordavo come piacevole. L’ho riaperto e mi sono subito rituffato nella storia del protagonista, stancamente emigrato a Parigi per avere delle storie da raccontare al ritorno al paese, del suo amore per Valentine, delle sue domande sul senso della vita e soprattutto nella descrizione della vita in provincia, incredibilmente sempre uguale a se stessa anche a distanza di molti anni.
E mentre leggevo, di libro me ne è venuto in mente un altro.
Lo ha scritto GIlles Deleuze e si intitola Marcel Proust e i segni. Deleuze è un filosofo e il libro, il librino viste le poche pagine che lo compongono, è dedicato alla Recherche che di Proust è certamente il libro più noto.
Sono andato a cercarlo e cominciato a scorrere con gli occhi la prima pagina e poi la seconda e via andando, cercando di scoprire cosa me lo avesse fatto tornare in mente leggendo Piero Chiara. Certamente Parigi e altrettanto sicuramente il continuo attingere alla memoria dei luoghi e dei volti che fa anche il protagonista de Il cappotto di astrakan.
Però a me del librino di Deleuze, dopo un po’ che ci stavo dentro, mi ha colpito un’altra cosa:
intanto che per lui la Recherche è il racconto di un ‘’apprendimento’’ più che una storia che ha il suo centro intorno alla memoria (come di solito si dice e si legge e che qui diviene solo uno strumento in questo percorso di formazione) ma, soprattutto, questa considerazione sull’amore: ‘’Innamorarsi vuol dire individualizzare qualcuno attraverso i segni che porta o che emette. Vuol dire diventare sensibile a questi segni, iniziarsi ad essi. L’amicizia può forse nutrirsi di osservazione  e di conversazione, ma l’amore nasce e si nutre d’interpretazione silenziosa. L’essere amato appare come un segno, un’anima: esprime un mondo possibile a noi sconosciuto. L’amato implica, include, imprigiona un mondo che occorre decifrare, e cioè interpretare. Si tratta anzi di una pluralità di mondi. Amare è cercare di spiegare, di sviluppare questi mondi sconosciuti che restano avviluppati nell’amato.
C’è dunque una contraddizione nell’amore. Non possiamo interpretare i segni di un essere amato senza sboccare in mondi che non hanno aspettato noi per formarsi, che si formarono con altre persone, e nei quali siamo solo un oggetto tra gli altri. L’amato ci da segni di preferenza; ma poiché quei segni sono i medesimi che esprimono mondi di cui non facciamo parte, ogni preferenza di cui profittiamo traccia l’immagine del mondo possibile dove altri sarebbero o sono preferiti. La contraddizione dell’amore consiste in questo: i mezzi su cui contiamo per preservarci dalla gelosia sono gli stessi mezzi che alimentano questa gelosia, conferendole una specie di autonomia, d’indipendenza rispetto al nostro amore’’.
E via così. E ce ne sarebbe da dire ancora.
Ma è tardi, la cartella è finita e dalla cucina sale il profumo della zuppa di cipolla di mamma Silvana, francese come mai prima.
 
Ingredienti per 4 persone
 
Cipolle dorate 500 g
Zucchero 1 cucchiaino
Burro 50 g
Olio 4 cucchiai
Pepe nero q.b.
Brodo di manzo 1 litro circa
Farina 20 g
Sale q.b.
 
Per la gratinatura
Pane baguette 12 fette
Groviera (o Emmenthal) grattugiato 100 gr
 
Mondate le cipolle e tagliatele ad anelli sottilissimi. Ponetele poi in un tegame con 50 g di burro e 3-4 cucchiai d’olio.
Lasciate cuocere a fuoco basso per 10 minuti, poi aggiungete un cucchiaino di zucchero e procedete con la cottura a fuoco moderato finchè le cipolle sudino senza prendere colore;
fate molta attenzione a non farle scurire in nessun punto. Quando cominceranno a divenire leggermente bionde, spolveratele con la farina, che farete cadere da un setaccio (colino), quindi  mescolate con cura per qualche minuto. A questo punto aggiungete il brodo (oppure, per rendere la zuppa più ricca potete sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco o un bicchierino di brandy) che, secondo gli antichi testi francesi, dovrebbe essere preparato con la coda di bue; lasciate sobbollire per almeno 30 minuti a fuoco moderato, aggiungendo del brodo quando serve.
Quando la zuppa sarà cotta, aggiustate di sale e pepe e versate il tutto in quattro contenitori da forno; affettate il pane (se proprio volete essere fedeli alla ricetta procuratevi una baguette) e abbrustolitelo.
Adagiate le fette di pane sulla superficie della zuppa e ricoprite con abbondante groviera o emmenthal grattugiati  (o formaggi similari). Ponete quindi i 4 contenitori nel forno preriscaldato a 250°C (o nella salamandra) per il tempo necessario affinché si formi una crosticina dorata sulla superficie della zuppa (pochi minuti). 
Servite la zuppa di cipolle gratinata caldissima.
 
 Ecco, l’inverno ha fatto capolino col suo seguito di freddo vento e pioggia e io mi sono preso il raffreddore.Uno di quei raffreddori atomici a cui cerchi dapprima di rispondere facendo finta di nulla e allora esci e continui a fare le tue cose ma che alla fine, come sempre, avrà la meglio sul tuo fisico di merda.E allora arrivi a casa che ti sembra di aver corso la maratona di New York, con tutte le ossa doloranti, il naso che ti cola, la gola che ti arde e non ti resta che godere alla vista della cialda di tachipirina, di un letto caldo e di un brodino.Mentre stavo così, sotto il piumone, cercando di non pensarci, mi è tornato in mente un vecchio articolo, pubblicato non ricordo più dove, che si intitolava Elogio dell’influenza e che, in soldoni, diceva così: non lamentatevi troppo dell’influenza, anzi accoglietela come un momento di sospensione del flusso ordinario della vita, della catena sveglia lavoro relax ninne che spesso assume i contorni della noia. E in quei pochi giorni costretti a letto approfittatene per dedicarvi le attenzioni che spesso trascurate di concedervi: leggete, poltrite, pensate, insomma, pur in quella condizione, godete del tempo finalmente liberato dagli affanni quotidiani.Io non arriverò mai ad elogiarla ma visto che l’inverno prima o poi arriva e insieme a lui tutti i malanni di stagione ho deciso di approfittarne.E allora ho raggiunto la libreria e mi sono messo a cercare senza una meta precisa tra i libri e alla fine ne ho tirato fuori una vecchia copia di un vecchio romanzo di Piero Chiara che si intitola Il cappotto di astrakan. Dal libro hanno anche tratto un film con Johnny Dorelli ma con la trama del romanzo ha poco a che fare. Lo avevo letto anni fa e lo ricordavo come piacevole. L’ho riaperto e mi sono subito rituffato nella storia del protagonista, stancamente emigrato a Parigi per avere delle storie da raccontare al ritorno al paese, del suo amore per Valentine, delle sue domande sul senso della vita e soprattutto nella descrizione della vita in provincia, incredibilmente sempre uguale a se stessa anche a distanza di molti anni.E mentre leggevo, di libro me ne è venuto in mente un altro.Lo ha scritto GIlles Deleuze e si intitola Marcel Proust e i segni. Deleuze è un filosofo e il libro, il librino viste le poche pagine che lo compongono, è dedicato alla Recherche che di Proust è certamente il libro più noto.Sono andato a cercarlo e cominciato a scorrere con gli occhi la prima pagina e poi la seconda e via andando, cercando di scoprire cosa me lo avesse fatto tornare in mente leggendo Piero Chiara. Certamente Parigi e altrettanto sicuramente il continuo attingere alla memoria dei luoghi e dei volti che fa anche il protagonista de Il cappotto di astrakan.Però a me del librino di Deleuze, dopo un po’ che ci stavo dentro, mi ha colpito un’altra cosa:intanto che per lui la Recherche è il racconto di un ‘’apprendimento’’ più che una storia che ha il suo centro intorno alla memoria (come di solito si dice e si legge e che qui diviene solo uno strumento in questo percorso di formazione) ma, soprattutto, questa considerazione sull’amore: ‘’Innamorarsi vuol dire individualizzare qualcuno attraverso i segni che porta o che emette. Vuol dire diventare sensibile a questi segni, iniziarsi ad essi. L’amicizia può forse nutrirsi di osservazione  e di conversazione, ma l’amore nasce e si nutre d’interpretazione silenziosa. L’essere amato appare come un segno, un’anima: esprime un mondo possibile a noi sconosciuto. L’amato implica, include, imprigiona un mondo che occorre decifrare, e cioè interpretare. Si tratta anzi di una pluralità di mondi. Amare è cercare di spiegare, di sviluppare questi mondi sconosciuti che restano avviluppati nell’amato.C’è dunque una contraddizione nell’amore. Non possiamo interpretare i segni di un essere amato senza sboccare in mondi che non hanno aspettato noi per formarsi, che si formarono con altre persone, e nei quali siamo solo un oggetto tra gli altri. L’amato ci da segni di preferenza; ma poiché quei segni sono i medesimi che esprimono mondi di cui non facciamo parte, ogni preferenza di cui profittiamo traccia l’immagine del mondo possibile dove altri sarebbero o sono preferiti. La contraddizione dell’amore consiste in questo: i mezzi su cui contiamo per preservarci dalla gelosia sono gli stessi mezzi che alimentano questa gelosia, conferendole una specie di autonomia, d’indipendenza rispetto al nostro amore’’.E via così. E ce ne sarebbe da dire ancora.Ma è tardi, la cartella è finita e dalla cucina sale il profumo della zuppa di cipolla di mamma Silvana, francese come mai prima. Ingredienti per 4 persone Cipolle dorate 500 gZucchero 1 cucchiainoBurro 50 gOlio 4 cucchiaiPepe nero q.b.Brodo di manzo 1 litro circaFarina 20 gSale q.b. Per la gratinaturaPane baguette 12 fetteGroviera (o Emmenthal) grattugiato 100 gr Mondate le cipolle e tagliatele ad anelli sottilissimi. Ponetele poi in un tegame con 50 g di burro e 3-4 cucchiai d’olio.Lasciate cuocere a fuoco basso per 10 minuti, poi aggiungete un cucchiaino di zucchero e procedete con la cottura a fuoco moderato finchè le cipolle sudino senza prendere colore;fate molta attenzione a non farle scurire in nessun punto. Quando cominceranno a divenire leggermente bionde, spolveratele con la farina, che farete cadere da un setaccio (colino), quindi  mescolate con cura per qualche minuto. A questo punto aggiungete il brodo (oppure, per rendere la zuppa più ricca potete sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco o un bicchierino di brandy) che, secondo gli antichi testi francesi, dovrebbe essere preparato con la coda di bue; lasciate sobbollire per almeno 30 minuti a fuoco moderato, aggiungendo del brodo quando serve.Quando la zuppa sarà cotta, aggiustate di sale e pepe e versate il tutto in quattro contenitori da forno; affettate il pane (se proprio volete essere fedeli alla ricetta procuratevi una baguette) e abbrustolitelo.Adagiate le fette di pane sulla superficie della zuppa e ricoprite con abbondante groviera o emmenthal grattugiati  (o formaggi similari). Ponete quindi i 4 contenitori nel forno preriscaldato a 250°C (o nella salamandra) per il tempo necessario affinché si formi una crosticina dorata sulla superficie della zuppa (pochi minuti). Servite la zuppa di cipolle gratinata caldissima.  




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