ANNO 14 n° 111
pm: «Finte infermiere e minacceper l’affare milionario di Stamina»
24/04/2014 - 09:36

TORINO — Gli unici innocenti sono i bambini e gli adulti malati, i loro genitori, le famiglie. Dietro a un elenco di nomi che riempie quasi due pagine c’è una quantità di dolore e di vana speranza difficile persino da immaginare, figurarsi a renderla nel linguaggio giuridico di un capo di imputazione costruito come una sentenza. Con dentro frasi come questa: «I pazienti sono stati usati come cavie». Quasi un epitaffio per il metodo Stamina.

Nelle settantuno pagine del documento c’è un dettagliato elenco di episodi esemplari del livello di approssimazione che a giudizio dei magistrati da sempre caratterizza la vicenda di Stamina. Ettore Luciano Fungi, medico di Carmagnola, stretto collaboratore di Davide Vannoni e socio della sua associazione, «nel corso della reintroduzione di cellule staminali», operazione piuttosto delicata che comporta dei rischi, «si faceva aiutare da un addetto alle pulizie come appoggio per il paziente». Nelle accuse a Vannoni si racconta anche del suo travestimento in ricercatore dell’università di Brescia per accreditarsi presso il Cardiocentro Ticino, in Svizzera. E di come «per eludere i divieti impostigli dalle normative sanitarie italiane ed europee» il fondatore di Stamina avesse instaurato rapporti con l’ambasciatore e i consoli onorari di Capo Verde «anche grazie all’aiuto di un farmacista sedicente medico e di una hostess attrice che si era qualificata come infermiera». E tutto al fine «di ottenere il permesso di somministrare il suo metodo presso la clinica Murdeira dell’isola di Sal». In un ospedale inattivo da tre anni. Il costo a carico di pazienti e familiari era previsto in 25.000 euro a persona.

Quando il vento su Stamina comincia a girare, il professor Mariano Andolina, medico triestino a principale alleato di Vannoni, durante un colloquio telefonico minaccia «un ingiusto danno» ai genitori di Nicole De Matteis, una giovane malata «dicendo che non avrebbe avuto pietà di loro e che gliela avrebbe fatta pagare» per le dichiarazioni critiche rilasciate sugli effetti della cura Stamina. Lo stesso Vannoni imponeva ai coniugi De Matteis che avevano portato la figlia al Pronto soccorso di Torino per una crisi di vomito, di tacere ai sanitari che la bambina era stata sottoposta all’infusione di cellule staminali, «altrimenti ci sarebbe stato il rischio di blocco delle cure».

Come è potuto accadere? Come è stato possibile che una cura dagli esiti «ignoti se non nulli», basata sulla somministrazione di preparati «di natura, implicazioni, potenzialità e rischi sconosciuti», applicata «in assenza di qualsivoglia pubblicazione scientifica» sia diventata un’ancora di salvezza per centinaia di famiglie disperate, approdando alla sperimentazione in una struttura pubblica come gli Spedali Civili di Brescia? Alla fine, l’inchiesta su Stamina, non è altro che l’analisi di un colossale errore di sistema, dove tutti hanno la loro parte di colpa. A cominciare dai medici coinvolti da Vannoni e Andolina nella «vasta e capillare campagna di ricorsi da parte di pazienti e/o loro familiari» ai tribunali del lavoro di tutta Italia fatta perché fosse ordinato agli Spedali di Brescia di procedere con il metodo Stamina. I magistrati li hanno chiamati, uno per uno, compresi i loro colleghi che avevano certificato e prescritto motu proprio la cura. Ecco alcune delle loro dichiarazioni. «Non ho gli elementi necessari per dare una giusta valutazione del metodo Vannoni». «Non conosco il metodo, se non per informazioni apprese sui quotidiani o dalla televisione». «Ho fatto qualche ricerca sul web». Massimo Sher, uno dei medici più citati nei ricorsi, si vergogna «di aver avuto la leggerezza di poter alimentare false speranze» su quella che — oggi — definisce come «la terapia del nulla». Sono tutti pentiti. L’ammissione di colpa ha fatto guadagnare loro lo status di testimoni, salvandoli da una possibile imputazione.

Seguite i soldi, diceva qualcuno. Guariniello non fa sconti a Davide Vannoni, «a suo dire “neuroscienziato”». Lo definisce «di fatto animato dall’intento di ricavare guadagni grazie a pazienti con malattie degenerative senza speranza». Ma la parte che ferirà maggiormente l’amor proprio del presidente di Stamina Foundation è quella sul suo connubio con Gianfranco Merizzi, il proprietario di Medestea, azienda farmaceutica neppure troppo piccola, conosciuta anche per la contestata commercializzazione del Cellulase, un prodotto dimagrante. Era noto che l’industriale fosse il principale finanziatore di Stamina. Quel che non si sapeva era dei loro comuni piani per il futuro. In una nota integrativa al bilancio 2012 di Medestea si legge di un «progetto di portata internazionale che sarà controllato dalla nostra società». La Medestea Stemcells srl è il risultato di questa fusione di intenti. Solo durante il 2012 ha acquisito know-how e brevetti per 3.243.976 euro e partecipazioni per 440.302 euro. L’anno 2013 è previsto come periodo di investimenti, mentre per il 2014 si prevedono i primi importanti introiti generati dall’attività delle «Cell Factories». Contatti avanzati sono in corso in Messico, Hong Kong e Svizzera. «La reazione delle famiglie dei malati e di diverse associazioni — si legge nel bilancio — ha scatenato una attività mediatica di forte impatto che ha indotto il ministero della Salute a emettere un decreto di fondamentale importanza perché ci consente di presentare all’estero la cura con staminali sotto una veste di piena legalità».

In ogni colpo grosso che si rispetti c’è sempre qualcuno che fa la parte del pollo. A vigilare sulla regolarità delle cure e dei prodotti medicinali somministrati agli Spedali di Brescia doveva essere Carlo Tomino, responsabile dell’Ufficio ricerca dell’Aifa. Adesso è indagato per aver «agevolato o comunque non impedito» la commercializzazione di Stamina. All’inizio ha opposto qualche resistenza. Poi si è accontentato di una nota firmata dal direttore generale dell’ospedale «che senza fare esplicito riferimento alla Stamina Foundation garantiva falsamente il possesso dei requisiti prescritti dalla legge» promettendo l’invio a stretto giro di posta «delle relative certificazioni e autocertificazioni». La lettera era stata scritta due giorni prima di proprio pugno da Vannoni.

Quella di Stamina è una storia terribile. Mischia dolore, morte, malattia. Ermanna Derelli, Carmen Terraroli, Gabriele Tomasoni. Sono i nomi dei tre dirigenti al vertice degli Spedali Civili di Brescia. Indagati a vario titolo. Ma è difficile non pensare che dietro ai loro mancati controlli, alla corsia preferenziale creata per Stamina non ci sia anche una umana debolezza. Sono accusati anche di aver procurato al Servizio Sanitario della Regione Lombardia un danno ingiusto «consistito nell’esborso per la somministrazione di cellule staminali a tre pazienti». Dovevano astenersi, per la presenza di un congiunto. Non l’hanno fatto. Quei tre pazienti sono il cognato della Derelli, il marito di Carmen Terraroli, il fratello di Tomasoni. Fanno parte di quell’esercito di malati che nel nome della guerra mediatica nei prossimi giorni verranno esposti nelle piazze, nudi nelle loro infermità, nel dolore di malattie terribili. Pietà, almeno per loro.

corriere.it






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