ANNO 14 n° 88
Linvingstone in salotto Occhi di ragazza
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30/03/2015 - 00:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - Pesach in ebraico, l’aramaico Pesa e la nostra Pasqua stano lì a raccontare di un passaggio.

Di una trasformazione. Di un cambio di stato.

Dalla schiavitù alla libertà, dalla vita alla morte e alla resurrezione alla vita eterna.

Le radici di Pesach affondano dentro il libro dell’Esodo e nel racconto del viaggio verso la terra promessa.

La Pasqua cristiana, col suo complicato andamento legato al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera (anche questo un segno di dinamismo), racconta della passione di Cristo, del suo compiere attraverso il sacrificio della croce il volere delle Scritture così come nella successiva resurrezione alla vita eterna, altro punto di passaggio.

Ma qui non è in questione la disputa teologica.

Interessa invece lo spazio indeciso del cambiamento di stato.

L’apertura alla diversità.

Dopotutto, è proprio il marcare una diversità (tra egiziani ed ebrei) a dar vita all’esodo verso la terra promessa.

E’ il segnare una differenza a dar luogo al passaggio.

Così come, però, nella differenza di stato si concentra lo spazio del cambiamento.

La Pasqua si avvicina e con lei il ricordo delle uova colorate e dei dolci della tradizione napoletana sulla tavola dei nonni.

L’odore di agnello e uova e pane pepato. E dei salumi e della colazione ricca.

Oggi, domenica, è invece la domenica delle Palme.

Si raccolgono i ramoscelli di ulivo.

A me, questa cosa dell’ulivo è sempre piaciuta. E’ un albero forte, ben piantato, con le fronde sode e, pur aprendo la settimana della passione di Gesù, io leggo in quel ramoscello un meraviglioso gesto di pace e di condivisione.

Mi piace prenderne e regalarlo alle persone a cui voglio bene.

''Mi piace l’idea di essere un capriccio della natura sulla nostra unica, straordinaria Terra''. Scriveva così Wislawa Szymborska in una paginetta intitolata Solitudine Cosmica.

Ma la consapevolezza di questa nostra solitudine, continua la poetessa polacca, invece di gettarci nella disperazione non potrebbe essere l’occasione per diventare ''più forti e lucidi, insegnandoci un reciproco rispetto e costringendoci a immaginare un modo di vita più umano?”''.

Di nuovo l’idea della tramutazione, del cambiamento. Interiore, innanzitutto.

Che degli altri cambiamenti non sappiamo cosa farcene.

Leggiamo Deleuze: ''Mi fanno ridere i nouveaux philosophes quando dicono che le rivoluzioni vanno a finir male. Bella scoperta! Chi ha mai creduto che le rivoluzioni finissero bene? Le rivoluzioni falliscono, lo sanno tutti. Ciò non ha mai impedito alla gente di diventare rivoluzionaria. L’avvenire della storia e il divenire della gente non sono la stessa cosa''.

Con buona pace di chi ha in testa la (vecchia) idea di insegnare come si fa, non importa cosa.

La musica elettronica, soprattutto nelle sue espressioni più concettualmente più radicali, racconta meglio di molto altro lo stato di passaggio, il luogo dell’indeterminatezza, il flusso senza principio e senza fine della post post-modernità.

E’ dentro il flusso del tempo ''non pulsato'' (sempre il buon vecchio Deleuze a parlare) il racconto quotidiano della nostra trasformazione: ''non è solo un tempo liberato dalla misura, né un nuovo processo di individuazione, liberato dal tema e dal soggetto, ma segna l’emergenza di un materiale liberato dalla forma. Non si tratta di un materiale indifferenziato è semplice, ma al contrario di un materiale estremamente elaborato e complesso. Un materiale la cui funzione è di rendere udibili delle forze, che per natura non sono sonore, di far emergere le vibrazioni di un universo plurale''.

L’altro, il plurale, con cui entrare in relazione.

L’altro, le cui energie alimentano l’energia con cui compiere il viaggio della nostra vita.

''…Ci sei – perciò devi passare.//Passerai – e qui sta la bellezza.//Cercheremo un’armonia,//sorridenti, fra le braccia,//anche se siamo diversi//come due gocce d’acqua''.

Passare, andare oltre, viaggiare, alla ricerca di due occhi in cui specchiarsi.

E scrivere, di nuovo cambiando: ''Ho sempre pensato che quando si scrive venga fuori il ritmo dell'anima; quando si parla si mente, quando si scrive no. Non è possibile. E' come tirare fuori da sè qualcosa di vitale e spaventoso, come un organo spiaccicato sulla carta. Incartare un fegato e spedirlo, questo è scrivere lettere''.





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