ANNO 14 n° 79
Nella Tuscia lo stipendio medio delle donne č il 62% di quello degli uomini
Gap di genere: nel Lazio il 43% delle lavoratrici ha un contratto part-time
09/03/2019 - 07:25

VITERBO - Nella provincia di Viterbo lo stipendio medio di una donna è pari al 62,3% di quello percepito da un uomo. È il dato che emerge dai numeri elaborati da Uil Lazio e dall'Eures in occasione dell'8 marzo, Giornata Internazionale della Donna. Il gap retributivo di genere nella Tuscia, secondo l'indagine condotta dal sindacato, risulta purtroppo il più elevato di tutta la regione: peggiore anche di quello della provincia di Roma dove il salario medio femminile corrisponde al 74% di quello maschile, con una differenza in busta paga di circa 6.683 euro all'anno.

Ma a cosa è dovuta questa disparità di retribuzione tra maschi e femmine? Una spiegazione del fenomeno prova a darla Uil Lazio: la maggiore diffusione tra le donne di contratti di lavoro part-time. Nel 2017, infatti, il 43% delle lavoratrici della regione – 260mila – ha un contratto di lavoro a ''tempo ridotto'' contro il 21% degli uomini. Andando nel dettaglio, le statistiche più allarmanti sono nella categoria under25 dove quasi un lavoratore su due non ha un contratto a tempo indeterminato: il 62,9% tra le ragazze (16.300 unità) e il 46,2% tra i ragazzi (17.600 unità). ''Dati che confermano purtroppo l'andamento di una regione e in generale di un Paese ancora troppo retrogrado e maschilista, dove le donne svolgono lavori meno qualificanti nonostante spesso abbiano titoli di studio più elevati e migliori prestazioni scolastiche e accademiche'', è il commento di Alberto Civica, segretario generale della Uil del Lazio.

''Ciò che è peggio – prosegue – è che la situazione rischia di precipitare ulteriormente. Basti guardarsi intorno e vedere come e quanto le donne siano considerate da questo governo, i richiami sessisti, la poca attenzione alle politiche ndi genere, la sottovalutazione di fenomeni gravissimi come la violenza o lo stupro. Degenerazioni verbali frutto quasi sempre di degenerazioni culturali che stanno investendo e sminuendo la nostra società. Si parla giustamente tanto del ddl Pillon. Cosa rappresenta in termini giuridici se non un'ulteriore mortificazione della donna, dei bambini, considerati entrambi subalterni rispetto all'uomo? E il tanto diffuso 'se l'è cercata' nei casi di violenza nei confronti di una donna? Espressioni, disegni di legge – conclude Civica – frutto di una società patriarcale ancora dura a morire e che anzi, negli ultimissimi tempi, sembra rinvigorire più che mai''.






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