ANNO 14 n° 79
Mafia: nelle campagne viterbesi nascoste le armi della banda
A gennaio Trovato organizza un nuovo attentato, i carabinieri lo sventano perché recuperano la pistola prima del boss
10/04/2019 - 07:04

VITERBO – Aveva la disponibilità di armi che nascondeva in zone isolate della campagna viterbese, il gruppo calabro-albanese smantellato lo scorso 25 gennaio dai carabinieri che hanno arrestato 13 persone. Armi su cui aveva cura di non lasciare impronte. Armi che rafforzavano le minacce nei confronti delle sue vittime. Lo dice il tribunale della libertà nelle motivazioni con cui respinge la richiesta di scarcerazione di alcuni dei 13 arrestati (dieci in carcere e due ai domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta per mafia a Viterbo.

Il tribunale, sposando la tesi della Dda, riconosce la connotazione di stampo mafioso all’associazione in capo a Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi per l’esistenza di un vincolo solidaristico tra gli aderenti, la struttura gerarchica, un programma delittuoso indeterminato, la distinzione di ruoli, l’imposizione di rigide regole interne, il sostegno ai sodali in carcere, la forza intimidatrice, l’assoggettamento e l’omertà.

Per i giudici non c’è dubbio che la banda ''utilizzando i metodi estorsivi e tipicamente intimidatori delle organizzazione di tipo mafioso ha operato in Viterbo per un considerevole lasso di tempo con attività criminali finalizzate al controllo del territorio e di tutte le attività economiche della città, senza disdegnare il recupero crediti''. ''Io lo fermo e lo scarrello…pare che na pistola vera… ci dico te la scarrello a te e a tuo padre ancora non avete capito’’, dice Giuseppe Trovato in un’intercettazione manifestando a Dervischi l’intenzione di utilizzare le armi contro una delle vittime delle estorsioni.

Nelle pagine delle motivazioni emergono altri dettagli sull’organizzazione calabro- albanese, su come avrebbe maneggiato le armi e sui nascondigli. Giuseppe Trovato, intercettato prima di recarsi in discoteca, imbocca una strada di montagna e fermandosi in una zona isolata, indica a Dervischi e Gurguri, in auto con lui, il nascondiglio delle armi:''Abbiamo tutti i punti strategici… A Zì metti lì la pistola''.

In un’altra conversazione sempre Trovato fornisce a Laezza consigli su come maneggiare le armi: ''i guanti in lattice, prendi e li butti poi… perché se tu l’acchiappi così, restano le tracce tue siamo sempre indagato…sei sempre indagato pure che c’è… questa è di un altro ma ci sei pure tu…cioè mi hai capito come? Semplicemente queste…La pistola mai tenerla a casa..la metti in un terreno in un…''.

A gennaio, pochi giorni prima degli arresti, i carabinieri riescono a sventare un attentato a mano armata ai danni di un noto pregiudicato locale. Trovato vuole vendicarsi per un affronto fatto dall’altro. Parlando con Patozzi dice: ''sparato agli zingari..io sai quanto onore abbiamo dopo… e dopo facciamo la guerra''. L’attentato fallisce perché i carabinieri, che erano già addosso al gruppo, si attivano alla ricerca dell’arma che Trovato, Rebeshi e Dervishi avevano occultato nelle campagne viterbesi e trovano una pistola beretta 9x21. La pistola è risultata rubata a Lamezia Terme anni indietro. Un furto per cui era stata già indagata una persona affiliata alla cosca Iannazzo.





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