ANNO 14 n° 116
Mafia viterbese: fuori dal processo 34 testimoni, il tribunale accelera i tempi
Alla sbarra Manuel Pecci, Emanuele Erasmi e Ionel Pavel, devono rispondere di soli reati scopo
12/07/2020 - 05:39

VITERBO – Mafia viterbese, il tribunale accelera i tempi del processo a Manuel Pecci, Emanuele Erasmi e Ionel Pavel, gli unici tre arrestati all’alba del 25 gennaio 2019 a non dover rispondere del reato associativo, ma ''solamente'' dell’aggravante del metodo mafioso per episodi di estorsione, furto e danneggiamento.

Via gran parte dei testimoni del pm e delle difese che, secondo i giudici, non rispetterebbero ''il principio di pertinenza e non superfluità'' rispetto alle accuse di cui i tre giovani devono rispondere: nelle scorse udienze sono state sentite diverse vittime della banda di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, già condannati in primo grado a 13 anni e 4 mesi e 12 anni di reclusione. Vittime di attentati incendiari, intimidazioni, minacce e pestaggi che però poco centrerebbero con le posizioni di Pecci, Erasmi e Pavel. E così la decisione del collegio.

‘’Non c’è la necessità di formare in aula la prova dell’esistenza dell’associazione mafiosa’’ spiegano i giudici in un’ordinanza, dal momento che i tre devono rispondere di reati scopo aggravati dall’uso del metodo mafioso e non di aver preso parte ad un’organizzazione criminale organizzata. Fuori dalle liste testimoniale, dunque, 34 persone, tra operanti e vittime.

Ad essere sentiti comunque ieri, in un’udienza straordinariamente fissata di sabato mattina, sono stati Luca Talucci e Rinaldo Della Rocca. Uno presidente del sindacato italiano locali da ballo, l’altro titolare di una concessionaria di auto, tesserato della stessa organizzazione, a cui nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 2018, sono state incendiate dodici macchine.

''Sono stato avvisato dai vigili del fuoco a tarda ora – ha spiegato – avevano bruciato tutto. Non avevo idea di chi potesse essere stato, ma quel che è stato certo fin da subito è che c’era qualcosa che non andava a Viterbo, stavano succedendo cose troppo strane''. Dopo quell’episodio, Della Rocca avrebbe trovato il coraggio di riaprire solo dopo tre mesi, ''ma sempre con la paura – ha sottolineato – e facendomi sempre fare compagnia da qualcuno in azienda, specialmente per la chiusura. Non volevo restare da solo per il timore di altre ritorsioni''.

Secondo quanto ricostruito dalla procura, Della Rocca e Talucci, a cui è stata sfondata l’auto a colpi di spranga, sarebbero stati presi di mira dalla banda di Trovato e Rebeshi perché legati al sindacato dei locali da ballo: per i boss avrebbero in qualche modo ostacolato l’apertura di un locale notturno sulla Tuscanese che il 34enne albanese doveva gestire.

''Una mattina Rebeshi mi ha chiamato– ha spiegato Talucci – era infuriato perché convinto che io avessi fatto delle foto al suo locale e poi le avessi depositate in comune per denunciarne alcune irregolarità. Mai fatto niente di tutto ciò, all’epoca neanche uno smartphone avevo…''.





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