ANNO 14 n° 89
Mafia viterbese, Sokol Dervishi collaboratore di giustizia
Minacce e incendi: il 33enne albanese racconta la sua verità e accusa ognuno dei presunti sodali
24/12/2019 - 06:45

VITERBO - (b.b.) Mafia viterbese, Sokol Dervishi è diventato un collaboratore di giustizia. Il 33enne di origine albanese, considerato braccio destro di uno dei due presunti vertici del sodalizio criminale sgominato all’alba del 25 gennaio scorso, ha deciso di parlare. Nei giorni scorsi, alla vigilia dell’udienza preliminare e dalla sua richiesta di rito abbreviato secco, ha scelto di collaborare con la magistratura, raccontando ai pubblici ministeri della Dda di Roma Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci la sua verità.

Nelle lunghe dichiarazioni, ora al vaglio delle difese, avrebbe confermato ogni singola condotta degli appartenenti alla banda, ripercorrendo alcuni degli episodi finiti sotto la lente degli inquirenti. Secondo la procura, il sodalizio criminale, a cavallo tra il 2016 e il 2019, avrebbero tentato di raggiungere il controllo di locali notturni, Compro Oro e rivendite di auto del viterbese, sbaragliando la concorrenza a suon di intimidazioni, pestaggi, minacce e incendi. Diffondendo il panico in città. E Dervishi, da mesi detenuto in carcere in regime di 41 bis, avrebbe confermato ogni cosa, autoaccusandosi.

Di lui, i due presunti vertici dell’organizzazione, l’albanese Ismail Rebeshi e il calabrese Giuseppe Trovato, nelle decine di intercettazioni, esaltavano l’affidabilità: ''Codino è uno che se lo chiami viene, è disponibile…ma lo sai quante cose mi ha fatto a me?''.

Ora proprio il loro ''affidabile e disponibile'' presunto braccio destro ha deciso di parlare, accusando se stesso e ognuno degli altri dodici arrestati a seguito dell’Operazione Erostrato.

Il rito abbreviato a suo carico, assieme a Luigi Forieri e Martina Guadagna, si celebrerà il 10 febbraio. 





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