ANNO 14 n° 114
Legale famiglia: ''Impugneremo conclusioni procura''
''Inchiesta lacunosa e superficiale''
09/06/2012 - 08:55

VITERBO – “Non può e non deve finire così. Non appena mi sarà notificata la richiesta di archiviazione del Pm per i cinque indagati siciliani, impugneremo per l’ennesima volta le conclusioni della procura della Repubblica di Viterbo. Ribadisco che le indagini sono state lacunose, lacunosissime, e superficiali”. Così l’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia di Attilio Manca, il giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), in servizio nell’ospedale di Belcolle, trovato morto nel sua appartamento di via della Grotticella l’11 novembre 2004.

La sua morte, come ha ribadito ieri il procuratore capo Alberto Pazienti e come ha sempre sostenuto il Pm Renzo Petroselli, titolare dell’inchiesta, è stata causata da un micidiale mix di eroina, tranquillanti e alcol. Ricostruzione che i genitori e il fratello del medico tentano da 8 anni di smontare. Per loro Attilio è stato assassinato, o meglio “suicidato”, da qualcuno vicino al clan del boss Bernardo Provenzano, per eliminare un testimone scomodo. L’urologo, a loro avviso, sarebbe stato costretto o ad accompagnare Provenzano nel suo “viaggio della speranza” a Marsiglia, in Francia, per essere operato di cancro alla prostata, oppure sarebbe stato costretto ad assisterlo nel periodo immediatamente successivo al suo ritorno in Italia, mentre, secondo un pentito di mafia, era latitante in una zona imprecisata dell’Alto Lazio. Nell’uno o nell’altro caso, era depositario di un secreto troppo pesante agli occhi di cosa nostra per rimanere in vita.

Sebbene abbia sempre mantenuto un profilo più defilato sulla pista Provenzano, alla tesi dell’overdose volontaria non crede nemmeno l’avvocato Fabio Repici. Anch’egli, tuttavia, ritiene che Attilio sia stato “suicidato”.

Ma perché il legale dei Manca ritiene le indagini lacunose e superficiali?

LE SIRINGHE E LE IMPRONTE DIGITALI - “Le impronte digitali sulle siringhe – sostiene – sono state rilevate anni dopo la morte di Attilio e solo perché lo ha imposto il giudice delle indagini preliminari su mia precisa richiesta. E non sono risultate comparabili, perché troppo limitate. Se si fosse iniettato da solo l’eroina e i medicinali, con due siringhe diverse, avrebbe lasciato indiscutibilmente le sue impronte sullo stantuffo, che avrebbe dovuto usare dapprima per aspirare le sostanze e poi per iniettarsele. Senza parlare poi della circostanza che sono state entrambe trovate con il tappo salva aghi inserito. E’ evidente – sottolinea – che qualcuno ha fatto sparire le impronte pulendo le siringhe . Chi se non coloro che lo hanno “sucidato”, cosi come hanno pulito ogni altra traccia nell’appartamento?”.

LE CONTUSIONI – “Il procuratore capo e il Pm – dice ancora l’avvocato Repici – dicono che dall’autopsia non è risultato che sul corpo di Attilio ci fossero delle ecchimosi e dei segni di violenza. Allora – afferma – perché la polizia, nel verbale redatto subito la scoperta del cadavere, parlano di ecchimosi e contusioni alle mani e ai piedi? Chi si è sbagliato, la polizia o chi ha eseguito l’autopsia?”. Secondo il legale, inoltre, inoltre, la dottoressa Ranalletta non avrebbe potuto essere incaricata di eseguire l’esame autoptico per una serie di ragioni. “In primo luogo perché è la moglie di un testimone, il dottor Rizzotto, primario del reparto di Urologia di Belcolle. Dal verbale risulta che è stato ascoltato dall’ispettore Procenesi, della squadra mobile, alle 13,15 del 12 novembre, mentre l’incarico alla moglie è stato conferito dopo alcune ore. Quindi era già scattata l’incompatibilità. Inoltre – argomenta – io stesso ho consegnato alla procura un Cd con numerose foto di una festa tra i medici e gli infermieri del reparto di urologia, in alcune delle quali si vede Attilio che balla al fianco della dottoressa Ranalletta. Quindi lo conosceva. E questo è un secondo motivo d’incompatibilità”.

LA DONNA INDAGATA – “Il procuratore Pazienti e il Pm Petroselli – incalza l’avvocato Repici - hanno detto che chiederanno il rinvio a giudizio di Monica Mileti perché a fornire le prove che ha ceduto l’eroina ad Attilio è stata la procura distrettuale antimafia di Messina. Ciò significa che se si andrà a processo lo devono a me, che ho presentato l’esposto da cui è scaturita l’inchiesta. Perché allora, in precedenza, avevano chiesto tre volte l’archiviazione della sua posizione? E’ questa l’indagine accurata e scrupolosa che hanno svolto? Eppure – sottolinea – una delle poche chiare dell’inchiesta è che Attilio aveva incontrato la Mileti il 10 novembre, due giorni prima di morire. E’ bene ricordare – conclude – che la Mileti è stata sempre indagata. Ma il suo possibile rinvio a giudizio per cessione di droga e omicidio colposo a seguito di cessione di droga potrebbe esserci a distanza di 8 anni dai fatti”.

REATO PRESCRITTO – Secondo il legale, la procura di Viterbo starebbe procedendo per un reato prescritto, precisamente per omicidio colposo a seguito di cessione di droga. “Perché – domanda – non le è stato contestato prima pur avendo tutti gli elementi a disposizione per farlo?”.

I TABULATI TELEFONICI – “La procura – prosegue l’avvocato Repici – sostiene che la telefonata fatta da Attilio alla madre con cui le dice di trovarsi in Costa Azzurra non esiste, perché non risulta dai tabulati telefonici. Certo che non c’è – rimarca -, loro hanno acquisito, peraltro con anni di ritardo, quelli del 2004, mentre la telefonata riferita dalla signora Angela è del 2003. Peraltro, quei tabulati non possono essere più acquisiti per il semplice fatto che sono stati distrutti, come prescrive una legge del 2008. Altro che indagini scrupolose e circostanziate”.

COLLOQUI TRA PROCURA E GENITORI ATTILIO – “Il procuratore Pazienti - afferma - ha detto che la madre e il padre di Attilio non hanno mai chiesto un incontro con lui per avere chiarimenti in merito all’inchiesta. E’ vero. A parte che li avevano chiesti ai suoi predecessori e allo stesso Pm senza riuscire ad ottenerli, perché non li ha convocati lui? Ad esempio, quando è stato sollecitato dalla segreteria di gabinetto della presidenza della Repubblica a fornire delucidazioni sullo stato delle indagini, perché non ha inviato la risposta fornita al Quirinale anche a loro?”.

In definitiva, a parere dell’avvocato Repici, la morte del giovane urologo è ancora costellata di punti oscuri, ambiguità, vuoti e elementi da esplorare. “Per questo – conclude – non può e non deve finire così”.





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