ANNO 14 n° 116
''Le case di cura? Nessuna autonomia, del tutto subordinate agli ospedali''
Sfilano i testimoni del processo Asl
08/07/2017 - 02:01

VITERBO - ''Non si possono rimandare a casa i pazienti. Quando un ospedale stabilisce il trasferimento di un malato all'interno di una casa di cura accreditata, questa è di fatto obbligata a riceverlo. Non si può rifiutare: c'è una sorte di subordinazione di queste strutture. E così è capitato che anche la Casa di Cura di Nepi gestita dagli Angelucci abbia dovuto ricoverare pazienti che in realtà non avevano i requisiti burocratici necessari per occupare un posto letto o per ricevere i trattamenti di riabilitazione motoria. Ma dove non arriva il diritto o la normativa, molte volte è costretto ad arrivare il buonsenso. Se la scelta di ricoverare o meno un paziente si gioca su uno o due punti di una scala di valutazione, non si può mandare a casa una persona che invece di arrivare al punteggio di 52, arriva a 48. Non possono essere quattro punti a fare la differenza: ogni situazione è da valutare nella sua interezza''.

A far chiarezza, in aula, sulle modalità che regolano il trasferimento e il ricovero nelle Case di Cura private accreditate con la Regione, è il professore Valter Santini, ordinario di medicina fisica e riabilitativa all'università La Sapienza di Roma e sul finire degli anni '90, membro del Consiglio Superiore della Sanità. Lo sfondo è sempre lo stesso, il maxi processo Asl, figlio dell'inchiesta che nel 2009 scosse fino ai vertici l'azienda sanitaria locale. Secondo la procura viterbese gli odierni imputati avrebbero messo in atto illeciti e irregolarità nella gestione e nell'affidamento degli incarichi pubblici. Ma non solo, alla sbarra anche privati, come la famiglia Angelucci, colpevole secondo l'accusa di aver intascato per anni rimborsi dalla Regione Lazio senza averne alcun titolo.

La loro Nuova Santa Teresa, infatti, avrebbe accolto pazienti provenienti dagli ospedali pubblici senza essere accreditata, ma soprattutto senza che i pazienti avessero davvero bisogno di un percorso riabilitativo. Il tutto, secondo i pm Stefano D'Arma e Fabrizio Tucci, per ricevere poi somme a sei zeri come risarcimento per le prestazioni eseguite. A pagare la Regione.

''Non so se la struttura fosse accreditata o meno - sottolinea il professor Santini - quello che posso dire però è che è immensamente difficile stabilire se un paziente possa o meno essere ricoverato. Le griglie di valutazione sono estremamente soggettive e affatto univoche. Ognuno può interpretarle come meglio crede e ciò crea un'enorme confusione negli ospedali e nelle cliniche private''.

Un esempio su tutti, quello della scala di Barthel. ''Questa scala serve per misurare la capacità di un essere umano nello svolgere le più semplici azioni di vita quotidiana: andare in bagno, camminare, mangiare. Così facendo si può stabilire se una persona sia autosufficiente o meno. Peccato che di questa scala anglosassone sul web ci siano una miriade di interpretazioni: affinché sia efficiente, una griglia deve essere validata. La Barthel, utilizzata nel Lazio sia nelle strutture pubbliche che in quelle private, non lo è stata fino al 2015''.

Un sistema, dunque, totalmente soggettivo e inappropriato che avrebbe potuto far nascere ricoveri considerati da alcuni inappropriati. Come nel caso della Nuova Santa Teresa, finita nel mirino della Procura per aver presumibilmente accettato e disposto il ricovero di pazienti affatto bisognosi di riabilitazione. O perlomeno non così gravi.

''E non di certo per missione umanitaria - sottolinea il pubblico ministero D'Arma - questi posti letto fruttavano agli Angelucci milioni e milioni di euro''.

Si tornerà in aula tra alcune settimane.





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