ANNO 14 n° 88
La Viterbese, gli invidiosi e gli impotenti
16/06/2013 - 04:00

VITERBO – Martedì e lo sapremo. Sapremo se il calcio viterbese sopravviverà oppure se andrà a morire, o ancora se bisognerà andare a cercare l’ennesima soluzione altrove, bussando ad altre porte. Di certo, Angelo Deodati finora è stato l’unico che si è esposto, che ci ha messo la faccia, che ha alzato il telefono e aguzzato l’ingegno. Che ci ha provato, insomma, a prescindere da come finirà questa storia. E scusate se è poco.

Intendiamoci: qui non si fa il tifo per nessuno, se non per il concetto astratto (ma poi neanche tanto) di “salvataggio del calcio cittadino”. Forza, evviva.

E però al sor Angelino va riconosciuto il merito di essersi esposto, lui e solo lui. Provare prima l’impossibile – vale a dire la rianimazione della As Viterbese soffocata dai debiti e tentare il ripescaggio in Lega Pro – e poi volare un po’ più basso, “accontendandosi” di rilevare il titolo della Flaminia per ripartire ancora dalla serie D, ma senza debiti e senza impicci. Ecco, Deodati è quello che sta cercando di fare, pubblicamente e attivamente: ha incontrato il presidente civitonico Ciappici, ha invitato anche il sindaco Michelini (“La possibilità è concreta e prevista dai regolamenti, un tentativo va fatto”), ha parlato chiaro ai tifosi. Ma naturalmente Deodati non è Moratti né Lotito, presidenti che curano tutto e che tutto vogliono fare. L’età si fa sentire, la voglia di spaccare il mondo, come vent’anni fa quando condusse la Viterbese al ritorno tra i professionisti, si è attenuata. E’ così che funziona. Ecco perché l’imprenditore di Pisoniano ha chiesto l’aiuto dei viterbesi, intesi come forze economiche, teste pensanti, responsabilità condivise. “Adesso tocca ai viterbesi”, ha detto Deodati. Della serie: stiamo a vedere che succede, stiamo a vedere se a questa città interessa ancora della squadra. Perché l’interesse non si liquida soltanto con le diecimila presenze nelle ultime quattro partite dei playoff, anche se splendide e commoventi: l’interesse è anche qualche soldino da sganciare, dare una mano, credere nel progetto. “La Viterbese porta il nome e lo stemma della città in giro per l’Italia”, ha sintetizzato il sindaco Michelini.

Che gli imprenditori viterbesi rispondano presente, entro martedì, è molto, molto, difficile. Questa è una città che non si espone, che non rischia, che non spende ma risparmia. E se investe investe nelle solite cose: nel mattone, nella barca a Porto Santo Stefano, nel locale alla moda, magari su qualche conto estero. Soltanto il sindaco Gabbianelli, ormai nove anni fa, riuscì nel miracolo di riempire la colletta necessaria per accedere al lodo Petrucci raccogliendo contributi dalle principali aziende del territorio: ma fu un’impresa eccezionale, alla Fra Galdino. E oggi, come se non bastasse, c’è la maledetta crisi, vera o presunta, che è sempre un’ottima scusa per non aprire il portafogli. Staremo a vedere, ma lo scetticismo c’è.

In ogni caso, Deodati ci ha provato, ci sta provando. Ed è l’unico che sia uscito allo scoperto. Gli altri presunti interessati a salvare il calcio a Viterbo stanno rintanati nei loro castelli, a studiare la situazione. Passi felpati, telefonate indagatorie, critiche di qua e critiche di là. “Deodati è un bluff”, “Non ce la faranno mai”, “Chi glieli dà i soldi”, e altri commenti linguacciuti. Alla domanda: ma voi che avete fatto per prendere la Viterbese?, ti mandano a quel paese. Se scrivi di un interesse, ti mandano la smentita. E poi sotto sotto continuano a tramare, senza esporsi mai, perché è peccato. Così i tifosi continuano a preoccuparsi (“Noi vogliamo solo passare un’estate tranquilla sapendo che la nostra squadra è ancora viva”, hanno chiesto a Michelini e Deodati l’altro giorno), ma tanto chissenefrega, dei tifosi: loro sono l’ultima ruota del carro, e che abbiano raccolto diecimila euro in un mese per far mangiare i giocatori è già una leggenda dimenticata.

Senza dimenticare gli invidiosi. Quelli che sono rimasti fuori dal progetto e che adesso rosicano, e cercano coi loro mezzucci di far saltare tutto. Perché preferiscono una Viterbese morta piuttosto che una viva, sana e senza di loro. Gente così ha rovinato il pallone gialloblu già tante altre volte. Gente così non muore mai. Purtroppo.






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