ANNO 14 n° 89
La priorità è salvare il calcio a Viterbo
Parlare di ripescaggio in Lega Pro è improbabile: servono idee spendibili
27/05/2013 - 14:42

di Domenico Savino

VITERBO – Game over. Tutto finito. Cala il sipario sulla stagione sportiva della Viterbese. Una  stagione partita a fari senti con l’intendimento di fare bene con il poco, in termini economici, a disposizione. Poi l’appetito è venuto mangiando: si è capito che la qualità del campionato era bassa, che nessuno era in grado di fare il vuoto e che anche la Viterbese poteva dire la sua. Si è creato un gruppo di ferro, che ha fatto fronte comune alle avversità. Intorno al nucleo gialloblu si è coagulata la tifoseria che ha fattivamente contribuito alla causa con collette a ripetizione. Nelle ultime tre uscite al Rocchi oltre ottomila persone hanno affollato quei gradoni bianchi fin troppo desolati.

Uno straordinario mix che meritava una fine differente e non tanto per lo 0-5 con cui è terminata la stagione della Viterbese. Era più giusto un altro epilogo, ma la squadra ha dimostrato di arrendersi solo al campo, ha reso gli onori all’avversario e si è presa l’applauso dei tifosi che hanno compreso gli innumerevoli sforzi.

Fatta la giusta premessa, ora incombono gli interrogativi. Che ne sarà di questa squadra? Tutto il lavoro di un anno sarà spazzato via dalla crisi societaria? E soprattutto ci sarà un futuro per la Viterbo calcistica?. Va subito sgombrato il campo dai facili entusiasmi e dalle chimere. Allo stato attuale parlare di ripescaggio in Lega Pro è improbabile, perché servono soldi freschi e idee immediatamente spendibili che non ci sono. Deodati mantiene sempre un atteggiamento strano: ad una apertura momentanea, fa seguire frasi poco comprensibili che non lasciano presagire nulla di buono.

Ha detto: ''Non conosco i conti del club e credo che servirebbe l’aiuto di altri imprenditori e dei politici''. Tuttavia di lui si parla da novembre e l’affermazione trova poco riscontro. La Lega Pro non è la panacea di tutti i mali: l’obiettivo principale è dare un futuro al calcio in questa città. Ripartire dalla serie D non è una bestemmia: un anno in più tra i dilettanti potrebbe essere un soluzione. Ha ragione il ds Manfra quando dice che non c’è bisogno di gente che parla senza far seguire i fatti. Ma è altrettanto vero che non possono essere gli imprenditori a salvare una situazione creata da altri. Per far proseguire il calcio a Viterbo serve un progetto serio e credibile, senza voli pindarici.

Serve non distruggere quanto di buono (tanto) è stato fatto: dal tecnico ai giocatori, all’entusiasmo che si è creato intorno. La Viterbese 2012/2013 è costata la metà di quella sciagurata della stagione passata che ha rischiato di disputare i play out. Serve tentare di ripartire da Farris, Manfra e i loro uomini (anche se qualcuno ha già le valige pronte), dagli instancabili collaboratori della società alla gente che tifa e che è diventata lo sponsor della squadra.

Il tutto va parametrato con la spada di Damocle dell’assenza di interlocutori: chiunque si avvicina alla Viterbese rischia di scottarsi, non sa con chi parlare, si arrende di fronte alla montagna da scalare. C’è un uomo della provincia di Foggia che possiede la maggioranza delle quote ma che non è mai venuto nella Tuscia e non si conoscono le sue intenzioni. Il campionato è finito, sul Rocchi si spengono le luci, l’estate – anche se le giornate sono tutt’altro che primaverili – sarà particolarmente calda.






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