ANNO 14 n° 115
LA MOGLIE DEL POLIZIOTTO
Recensione di Laura Tanziani
12/12/2013 - 10:36

Centosettantacinque minuti d’immagini suddivise in 59 capitoli è l’ultima fatica di Philip Groning che con un film impegnativo ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia. Il regista ha già firmato un capolavoro con “ Il Grande Silenzio” e cerca il bis ne “La Moglie del Poliziotto” osservando amore e violenza che si alternano tra le mura domestiche con dilaniante e sconcertante attenzione. Certo è che Groning fa in pezzi la vita familiare per raccontare come il male spesso si nasconda dietro la tranquilla banalità del quotidiano. Un film sul buio dell’anima e sulla parte oscura del cuore umano narrati attraverso la semplice vita di un uomo, una donna, la loro bimba di quattro anni in una piccola città di provincia. La madre Christine, interpretata da Alexandra Finder, cura l’educazione della piccola Clara (ruolo affidato a due gemelle, Pia e Clara Kleeman) mentre il padre Uwe, interpretato da David Zimmerschied, si divide tra lavoro e famiglia.

Tutto sembra scorrere normalmente e Christine cerca di insegnare alla piccola Clara soprattutto ad amare, giocando con lei in molti e bellissimi modi, andando alla scoperta del mondo e della natura per appagare le sue piccole grandi curiosità. In questo modo la giovane madre fa di tutto per proteggere l’anima della sua bambina e per aiutarla a crescere, pianta in lei i semi dell’amore e li osserva germogliare. Cerca con dolcezza e disperazione di creare per Clara un ambiente protetto dove la sua anima possa evolvere. Le insegna il canto, ad amare gli animali tutti, lombrichi compresi, le insegna a far crescere dei fiori anche spostando due mattonelle in un vicolo di cemento. Tutto questo a contrasto e a compensazione dell’orrore che comincerà a trasudare dentro le mura domestiche e di cui la piccina sarà involontaria testimone. Il poliziotto, apparentemente un giovane uomo normale e che sembra più insicuro e affamato d’amore che manesco, porta in casa un’improvvisa, terribile, brutale e disperata violenza. Infatti, quando si sente schiacciato dalla vita o non sufficientemente amato, diviene preda del suo secondo io malvagio e lo scatena sulla moglie, valvola di sfogo anche della sua frustrazione. La violenza è poche volte esplicita sullo schermo, bisogna aspettare il capitolo 20 per ravvisare un livido sul corpo di lei, corpo che successivamente sarà martoriato. Lui dopo ogni sfogo bestiale le chiede scusa, le porta rose rosse, è terrorizzato di perdere ciò che ha di più caro. E per giustificarsi agli occhi della figlia, arriverà anche a inventare una strana malattia della moglie che le rende il corpo martorizzato e puzzolente a causa dei lividi e delle percosse che lui le infligge. E il senso di distruzione cresce dentro di lui con una crudeltà che lui stesso non avrebbe saputo immaginare e fra lui e il suo mondo si apre un baratro. La moglie subisce passivamente tanto orrore, accennando raramente a reazioni di rivolta perché vuole proteggere la figlia e al tempo stesso salvaguardare ai suoi occhi la figura paterna. E il regista evidenzia l’enorme paradosso delle relazioni violente: più la donna si sente ferita, sola e in difficoltà, più desidera dall’uomo anche il minimo gesto d’affetto perché a volte una carezza dopo aver subito maltrattamenti può aiutare a non distruggere la relazione matrimoniale. Infine la donna, annientata e distrutta da tanta brutale aggressività e dall’incapacità di trovare aiuto, perde il suo equilibrio mentale e scivola verso un finale di acqua e di morte, reso dalla regia in modo magistrale e dolorosamente sconvolgente. A intervallare i capitoli c’è una figura emblematica; un anziano signore sempre solo e impegnato in semplici atti di vita quotidiana. Forse un padre, forse la proiezione futura del poliziotto stesso, forse la Morte in attesa, forse un Coro che osserva il compiersi delle cose e che, come nella tragedia greca, è l’emblema della passività silenziosa che troppo spesso ha la società nei confronti delle violenze domestiche. Il montaggio compone il puzzle dei 59 capitoli introducendoli e facendoli seguire dal buio dello schermo e nel film non c’è musica o luce se non quelle naturali. Oltre a puntare il dito sulla violenza domestica “La moglie de poliziotto” è un film sulla virtù dell’amore, sull’impotenza, sulla creazione dell’anima, sulla tenerezza e sulla bellezza. Ottimo sicuramente per intellettuali e appassionati di cinema, meno digeribile al grosso pubblico.

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