ANNO 14 n° 107
La cara vecchia colletta che non tradisce (quasi) mai
20/03/2013 - 04:00

VITERBO - (An. Ar.) E siamo arrivati al tanto atteso momento della colletta. Che – lo capiscono anche quelli un po’ tardi – giunge sempre un attimo prima della catastrofe. Ecco com’è messa la Associazione sportiva Viterbese calcio: che in appena otto anni di vita non solo ha perso la verginità contabile, ma è riuscita pure, attraverso le varie gestioni, ad accumulare un monte debitorio impossibile da appianare. Però, prima di annunciare con profonda tristezza la sua morte definitiva (siete tutti invitati ai funerali), oggi si sta attraversando un periodo particolare, chiamiamolo di “morte cerebrale”: le funzioni vitali continuano, seppur debolissime, ma la fine è segnata.

Lo si era già capito da tutta una serie di segnali. Il ritardo nei pagamenti dei rimborsi ai giocatori (sant’uomini, loro). Il folgorante tempismo con cui erano arrivate tre dimissioni in un colpo solo (presidente Graziani, vice Vestri, direttore sportivo Manfra, poi rientrato: comunque, troppa grazia). Gli appelli e i contrappelli a salvare la baracca. Tutto che lasciava presagire l’ultimo passaggio, l’atto obbligato prima del requiem. Sì, si tratta della celebre colletta, o per metterla un po’ freak, del “collettone”, quello che faceva l’indimenticabile Nicola Centolire passeggiando per il Corso (“Scusa, che c’hai cento, ducento, trecento lire”?). Cioè raccattare qualche soldo qui e qualche soldo là per sopravvivere fino a maggio. E ciò che succederà dopo – miracolo, o lo staccamento definitivo della spina – si vedrà.

Ci hanno provato un po’ con tutti, i questuanti gialloblu. Naturalmente ci hanno provato con Angelo Deodati, il mecenate che aveva promesso poi ci aveva ripensato (liberissimo di farlo: i soldi sono suoi) e alla fine, davanti alle suppliche viterbesi, si era impietosito, acconsentendo a dare qualcosina, ma niente più di un obolo. Ci hanno provato ancora raccomandandosi (o facendosi raccomandare da qualche politico amico) ai famosi “imprenditori locali”, categoria sempre chiamata in causa ma talmente furba – o evanescente, fate voi – da lasciarsi incastrare in certe cause perse. Qualcuno, in spregio al senso del ridicolo, domenica scorsa s’è azzardato persino a rivolgersi a Leonardo Bonucci, presente come spettatore sulle tribune del Rocchi. Lo ha raccontato lo stesso difensore juventino (che guadagna 1.7 milioni l’anno, dettaglio che di sicuro non sarà sfuggito ai mendicanti gialloblu) ad un quotidiano locale: “Allo stadio, scherzando, mi è stata fatta questa proposta da più persone – ha detto Leo – Ora voglio concentrare le mie forze sulla carriera da calciatore. Un domani, chissà…” Insomma, neanche Bonucci è cascato nel tranello, almeno per ora. E non ha nessunissima intenzione di imitare il suo capitano Buffon, proprietario della Carrarese.

Ma la colletta non è finita qui. I nostri non si sono affatto demoralizzati, e anzi hanno già bussato alla porta di Claudio Lotito, presidente della Lazio e noto filantropo del mondo del calcio. Vedremo se anche da questa parte si riuscirà a rimediare qualche spicciolo per andare avanti fino a maggio. D’altronde sul manuale del perfetto questuante c’è scritto a chiare lettere: mai arrendersi, mai demoralizzarsi, chiedere, chiedere, chiedere. A chiunque, dovunque, utilizzando qualsiasi scusa. Qualcuno, prima o poi, donerà.






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