ANNO 14 n° 109
Incidente subacqueo di Palinuro: un po’ di chiarezza su ciò che è accaduto
Ancora una volta errori e tanta confusione nel racconto dei fatti
21/07/2012 - 16:09

di Giovanna Bianconi

Da quando si è diffusa la voce che il 30 giugno scorso, durante un’immersione nel Parco del Cilento, quattro subacquei non sono più riemersi, nel mondo sub è il caos. Le notizie si sono rincorse nei forum, sui siti delle scuole sub e nei diving center, prima ancora di essere diffuse dai mass media. Ma per giorni tutto è rimasto confuso.

Allora chi ha voluto approfondire si è affidato a tv e carta stampata. E infatti per un paio di giorni tutti i giornali e le televisioni hanno parlato del fatto che sabato mattina Susy Cavaccini, Andrea Pedroni, Douglas Rizzo e Panaghiotis Telios hanno perso la vita durante un’immersione nella Grotta del Sangue, a Palinuro.

La dinamica ricostruita dai cronisti racconta al pubblico di otto subacquei, che si sono immersi nella grotta alla profondità di circa 15 m e non si sa perché si sono infilati in un cunicolo. Dopo poco si sono accorti con terrore che era senza uscita. Allora hanno iniziato a pinneggiare disperatamente per tentare di tornare indietro. Ma hanno peggiorato la situazione, perché i loro movimenti hanno alzato il sottilissimo sedimento della grotta, togliendo completamente la visibilità.

La fine della storia è tremenda quanto inevitabile: quattro di loro sono riusciti ad uscire, mentre per gli altri quattro non c’è stato nulla da fare. Sono morti annegati, perché dopo aver perso completamente l’orientamento hanno finito l’ossigeno delle bombole.

Le indagini della Capitaneria di porto coordinate dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania sono ancora in corso, mirano a verificare quanto accaduto e le eventuali responsabilità del peggior incidente della storia subacquea di Palinuro.

E’ per questo che sulla faccenda da allora vi è il massimo riserbo sia da parte degli inquirenti che dei superstiti della tragedia. Le attrezzature dei sommozzatori sono state requisite per effettuare esami approfonditi e la grotta è stata chiusa al pubblico.

Ma secondo le nostre fonti il racconto che è stato propinato a tutti è pieno di imprecisioni da vari punti di vista, a parte purtroppo la cruda realtà dei fatti. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Le persone che quel maledetto sabato mattina si sono immerse erano nove, non otto. Insieme ai quattro sfortunati sommozzatori che hanno perso la vita, vi erano Maria Laura Mosquera, fidanzata di Panaiotis Telios, morto nell’immersione, Giuseppe Mastroranni, Salvatore Passato, e gli istruttori Marco Sebastiani e Stefano D’Avec.

A quanto sembra il titolare del diving “Pesciolino Sub”, Roberto Navarra, ha organizzato la gita ma non era presente perché impegnato con un altro gruppo. E’ un sommozzatore esperto, conoscitore di lungo corso di quelle grotte e stimato da tutti nell’ambiente. Al momento, come atto dovuto, risulta iscritto nel registro degli indagati.

I quattro sfortunati sommozzatori hanno imboccato sì un cunicolo, ma dell’adiacente Grotta degli Occhi, e non è un particolare da poco.

Infatti come si può vedere dalla mappa e sezione della Grotta del Sangue, estratta da “Grotte marine d’Italia” (Memorie dell’Istituto italiano di speleologia, Bologna, 1994), la massima profondità della grotta è di circa 9 m, e non esistono cunicoli in cui possano entrare sommozzatori. Questo ci ha indotti fin da subito a sospettare che, al contrario di quanto riportato, i sub si fossero immersi nella Grotta degli Occhi, il cui ingresso dista solo un centinaio di metri.

Al contrario, se si osserva la cartografia di quest’ultima, si nota subito che la sua massima profondità è intorno ai 15 m, dato che coincide con quanto dichiarato dai superstiti. Profondità e durata dell’immersione comunque saranno rilevati dagli investigatori attraverso l’ispezione dei computer subacquei, requisiti insieme alle attrezzature.

Altro punto saliente: nessuno dei nove si è infilato inspiegabilmente in un cunicolo. Qualcuno di loro – ancora non è ben chiaro chi – ha commesso l’errore di voler visitare la grotta fino in fondo. Ma basta osservare la pianta per accorgersi che nella sua parte più interna si apre un ramo che si incunea per una trentina di metri. Inizialmente è largo e rettilineo, poi man mano diventa sempre più stretto e devia verso sinistra. Questa è la parte più pericolosa della grotta, perché a causa della notevole quantità di limo sul fondo se si pinneggia incautamente si riduce la visibilità praticamente a zero.

Proprio per questo motivo all’inizio del ramo infangato della grotta vi è normalmente un cartello che avvisa del serio pericolo e diffida i sommozzatori dall’entrarvi. Le nostre fonti riferiscono che ogni tanto in quella grotta il cartello viene portato via dalla forza del mare, e che il giorno dell’incidente in effetti non c’era. A quanto pare la responsabilità della segnalazione di pericolo attraverso il sistema dei cartelli subacquei sarebbe in capo al Demanio, che non avrebbe provveduto a rimpiazzare quelli eventualmente mancanti. Anche questo aspetto è al vaglio degli inquirenti.

Tutta da verificare anche la responsabilità di due punti critici di quell’immersione, trapelati più o meno velatamente da superstiti, familiari delle vittime e soccorritori. La quantità di aria nelle bombole, e quindi la riserva, non sarebbe stata adeguata ad un’immersione in grotta. Il primo sommozzatore ritrovato era proprio all’ingresso della cavità, e qualcuno mormora che con le bombole più cariche si sarebbe potuto salvare. Questo però non lo sapremo mai, perché sott’acqua in momenti di panico il consumo di aria aumenta considerevolmente.

A tal proposito si deve parlare di aria e non di ossigeno, perché in immersione generalmente si scende con bombole caricate con aria compressa. L’ossigeno puro non si usa più. Era impiegato decenni fa dai vecchi sistemi Aro (autorespiratori ad ossigeno) per immersioni entro i 10 m di profondità, perché al di sopra di tale soglia diventa estremamente tossico.

Solo per immersioni particolarmente profonde o tecniche si utilizzano speciali miscele respiratorie a base di ossigeno e azoto (nitrox, la più utilizzata), ossigeno, azoto ed elio (trimix), aria ed elio (heliair), ossigeno ed elio (heliox), ossigeno e idrogeno (hydrox), ossigeno, elio e idrogeno (hydreliox), oppure neon e ossigeno (neox).

Tornando al tragico incidente, un altro punto critico è che non è chiaro come mai qualcuno abbia potuto inoltrarsi nel ramo infangato della grotta, anche in assenza del cartello, se durante il briefing preimmersione la guida ne avesse chiaramente spiegato la pericolosità.

Fabio Barbieri, titolare del Palinuro Sub diving center, uno dei massimi esperti di speleosub e di Capo Palinuro, si è recato insieme ad altri volontari per prestare i primi soccorsi, ma come i suoi colleghi ha dovuto limitarsi a recuperare i corpi. Nemmeno lui riesce a spiegarsi la dinamica dei fatti ed i motivi che hanno portato all’incidente, tra l’altro in una grotta considerata tra le meno pericolose.

Per ora ci risulta che non ci sono state disdette né per gli alberghi, né tantomeno per i diving center, che all’indomani dell’incidente hanno continuato le loro attività. Chi pratica la subacquea è conscio dei rischi connessi alle immersioni in grotta e, statistiche alla mano, sostiene che guidare un’automobile è molto più rischioso.

Anche se gli interessi economici in gioco sono notevoli, dopo una simile tragedia istituzioni ed imprenditori locali si interrogano ancora una volta sull’opportunità di consentire la visita delle grotte sottomarine a tutti gli appassionati di subacquea. Un dilemma purtroppo non nuovo per Capo Palinuro.






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