ANNO 14 n° 116
Il volo ''freddo'' del Buran
Vento gelido? Ma non era un veicolo spaziale? Sì, è entrambe le cose
14/03/2012 - 18:41

di Giovanna Bianconi

 

In questi giorni le temperature sono state incredibilmente alte, e il ricordo del gelo è ormai svanito, come i cumuli di neve per le strade. E’ marzo, e in giro tutti sono felici del tepore, già proiettati verso la primavera, le vacanze di Pasqua e le scampagnate.

Sembra incredibile che nemmeno un mese fa la gente parlasse con tono esperto di emergenza maltempo. Molti in quei giorni avranno sentito un nome familiare e glorioso: Buran. “Vento freddo?… Ma non era un veicolo spaziale?” Ebbene sì, Buran è tutte e due le cose.

Correva l’anno 1974 ed iniziava il programma spaziale russo буран (Buran). In quegli anni di guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica per il veicolo fu scelto il nome solenne del vento freddo e forte delle steppe delle pianure ad ovest degli Urali. Il significato, nemmeno a dirlo, era simbolico: il Buran è una forza della natura che gela tutto ciò che tocca, e la violenza con cui soffia genera vere e proprie tormente di neve, che spazzano via ogni cosa.

I grandiosi piani del regime prevedevano la costruzione di una flotta di cinque veicoli per arrivare ad un ritmo di 20 missioni all’anno, a partire dal 1990. Analogo sovietico dello Shuttle, il primo Buran fu assemblato in soli quattro anni. Era un veicolo lungo 36 metri, alto 17 e con un’apertura alare di 23, in grado di raggiungere l’incredibile velocità di 27.000 km/h, pari a 24 volte quella del suono.

E quella velocità il Buran la raggiunse davvero, quando nel 1988 partì dal cosmodromo di Baikonour portato in orbita dal razzo vettore “Energia”. Purtroppo però lasciò il Kazakistan solo per compiere due giri attorno alla Terra, senza equipaggio a bordo e in modo totalmente automatico, per un tempo totale di volo di soli 206 minuti. E quello fu l’unico volo della prima navetta spaziale sovietica. Infatti, come spesso accade, i progetti scientifici vengono influenzati da questioni geopolitiche ed economiche, e fu così che nel 1992 il crollo dell’Unione Sovietica fu fatale al programma.

I tempi cambiano, e tristemente delle sole tre navette a suo tempo costruite oggi rimane solo quella ancora esposta (a pagamento) al Gorkij Park, nel centro di Mosca. Infatti il Buran che volò nel 1988 venne fortemente danneggiato per il crollo dell’hangar del cosmodromo in cui era custodito, mentre il terzo fu smantellato.

Tornando al Buran “terrestre”, come ormai sappiamo riesce ad oltrepassare gli Urali e, aggirando la catena alpina, ad entrare nell’area del Mediterraneo in media ogni 10-15 anni. E quando investe in pieno l’Europa, soprattutto se associato a nevicate in zone che raramente subiscono simili eventi, può rappresentare una vera minaccia per la pubblica incolumità. L’ultima volta che il Buran arrivò in modo netto in Italia fu nel dicembre del 1996, quando si verificarono vere e proprie ondate di gelo siberiano e raffiche di vento fino a 150 km/h. Come è successo nemmeno un mese fa, anche allora ci furono crolli termici improvvisi e consistenti, insomma un freddo da record, non a caso è chiamato l’ “espresso siberiano”.

La parabola del Buran, gelido vento millenario e fallito programma spaziale, questo insegna: nella storia tutto passa e va, tutto si modifica e si evolve, fino ad arrivare in qualche modo ai giorni nostri, e magari a dargli un senso. La natura invece, con i suoi cicli lenti e costanti, cambia in modo più gentile, dandoci spesso la (erronea) sensazione che tutto rimanga immutato nel tempo.

Una cosa però è da tenere bene a mente: se dovesse tornare non chiamatelo erroneamente “Burian” o “Buriana”, con certi Zar non c’è da scherzare.




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