ANNO 14 n° 115
Il procuratore capo Pazienti all'Antimafia
Il magistrato convocato dalla presidente Rosi Bindi per chiarire alcuni punti
dell'inchiesta che la famiglia dell'urologo morto a Viterbo continua a contestare
12/01/2015 - 00:00

VITERBO - Il caso di Attilio Manca, il giovane urologo siciliano trovato morto nella sua casa a Viterbo la mattina del 12 febbraio 2004, approda in Commissione bicamerale Antimafia. Domani pomeriggio, alle 14,30, si terrà l'audizione del procuratore capo di Viterbo Alberto Pazienti, convocato dalla Presidente Rosi Bindi, per chiarire i risultati dell'inchiesta, da sempre contestati di familiari del medico.

In particolare, la madre e il fratello di Manca negano con forza che il loro congiunto sia morto per un'overdose di eroina mista a farmaci e sostengono che sia stato ucciso dalla mafia dopo che lo aveva costretto ad assistere il boss Bernardo Provenzano in occasione del suo viaggio a Marsiglia per farsi operare di cancro alla prostata. A loro avviso, l'iniezione letale di droga e farmaci al braccio di Attilio sarebbe stata eseguita dai killer inviati a Viterbo dalla mafia per eliminare un testimone scomodo.

Insieme al procuratore Pazienti, comparirà davanti all'Antimafia anche il pubblico ministero Renzo Petroselli, il titolare dell'inchiesta, che dal 2004 e nei dieci anni successivi ha più volte richiesto l'archiviazione del fascicolo, ritenendo che gli elementi raccolti e i successivi approfondimenti convergano tutti sulla prima ipotesi: l'overdose. Una tesi, quella del Pm Petroselli, indirettamente confermata dalla procura nazionale antimafia e dalla magistratura siciliana che, in più occasioni, hanno definito insussistente l'ipotesi secondo la quale il medico sia stato ucciso da cosa nostra.

Anche l'attuale presidente del Senato Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, durante una sua visita a Viterbo, dichiarò che non sono stati mai trovati i benché minimi elementi a sostegno delle affermazioni dei familiari di Manca. Grasso, tra l'altro, smentì che il boss Provenzano, dopo l'intervento di prostata subito in Francia, si sia rifugiato per un periodo in provincia di Viterbo o nelle immediate vicinanze.

Adesso, la famiglia Manca è assistita anche dall'ex Pm di Palermo Antonio Ingroia, il quale ha sposato appieno la tesi del delitto di mafia e ha accusato la procura della Repubblica di Viterbo di aver condotto indagini lacunose e superficiali nonché dell’esistenza di ''prove manomesse e falsificate''. Un’affermazione, quest’ultima, che gli è costata l’iscrizione nel registro degli indagati per calunnia.

Intanto, Giuseppe Setola, il killer del clan Casalesi, che lo nell’agosto 2014 dichiarò alla procura di Napoli di aver appreso in carcere, da altri detenuti, che la morte di Manca era collegata all’operazione alla prostata del boss Provenzano, ha ritrattato tutto. Secondo i magistrati lo avrebbe fatto perché la moglie si è rifiutata di lasciare Casal di Principe per trasferirsi in una località segreta, sotto protezione. Gli stessi magistrati partenopei, però, davanti alla Commissione Antimafia, definirono Setola ''personaggio psico-labile e ondivago, che rappresenta il paradigma delle difficoltà della gestione dei collaboratori di giustizia''.

Attualmente, c’è un’unica imputata per la morte di Manca: Monica Mileti, 50enne romana, ritenuto il pusher che fornì l’eroina al giovane medico.





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