ANNO 14 n° 110
Il processo approda oggi in Cassazione
La difesa punta all'annullamento con rinvio della sentenza d'appello
27/01/2015 - 01:02

CIVITA CASTELLANA – Al via oggi, davanti alla Corte di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio per Giorgio De Vito, quaranta anni, napoletano, condannato a diciassette anni di carcere dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma per l’omicidio di Marcella Rizzello, la giovane di ventinove anni massacrata con trenta coltellate sotto gli occhi della figlioletta Giada, che all’epoca dei fatti aveva solo tredici mesi. Era il tre febbraio del 2010. In primo grado, la Corte d’Assise di Viterbo aveva inflitto l’ergastolo a De Vito, un balordo con una lunghissima serie di reati sulle spalle. La consistente riduzione di pena fu determinata dal giudizio con il rito abbreviato, dalla concessione delle attenuanti generiche e dall’esclusione dell’aggravante della crudeltà.

Insieme con il napoletano finì in cella anche una donna polacca di trenta anni, Mariola Michta, sua compagna e complice in alcuni furti. La donna confessò di essere stata in casa della vittima insieme a De Vito per commettere un furto. Dichiarò che De Vito si scaglio contro la Rizzello perché li aveva sopresi a rubare in camera da letto e si era messa a gridare. La colpì con ferocia a coltellate finché non rimase immobile sul pavimento, in un lago di sangue. Aggiunse che se non l’avesse protetta con il suo corpo, l’uomo avrebbe ucciso anche la bambina che assisteva all’assassinio della madre piangendo disperatamente sul letto matrimoniale.

La donna, in primo grado fu condannata a diciotto anni di reclusione, ma in Appello fu prosciolta perché la sua difesa dimostrò che all’ora del delitto non era a Civita Castellana ma a Roma, nell’ospedale Cto, dove le fu eseguita una radiografia e fu visitata da un ortopedico alla mano destra. Non è stato mai chiarito, anche per gli evidenti problemi psicologici della donna, perché si sia accusata di complicità con De Vito.

Non la pensa così l’avvocato Enrico Valentini, difensore di De Vito, secondo il quale il comportamento processuale di Michta potrebbe essere finalizzato a coprire una terza persona coinvolta nel delitto e finora rimasta sconosciuta. Il legale chiederà alla Suprema Corte di annullare con rinvio la sentenza d’appello al fine di acquisire nuove prove e far sottoporre a un’altra perizia psichiatrica De Vito.

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