ANNO 14 n° 116
''Ho lasciato Blera per cercare lavoro, siamo come chi scappa dall'Africa''
La storia dell'insegnante Nicola C. uno dei tanti ''cervelli in fuga'' dalla Tuscia
11/11/2018 - 06:23

BLERA – Lo definisce ''il piattume lavorativo della mia terra'' la mancanza di lavoro nella Tuscia che lo ha costretto a girare in diversi Stati e in varie Regioni italiane per rincorrere un impiego. Nicola C., un insegnante di Blera, è uno dei tanti italiani classificabile come ''un cervello in fuga'', costretto a lasciare il suo paese per cercare lavoro. ''Siamo come chi scappa dall’Africa – racconta -. In Italia orari di lavoro usuranti e niente contratto''.

Il blerano Nicola C. racconta la sua storia di continui sacrifici e viaggi attraverso una lettera, per la rubrica ''La valigia di carta'', a IlFattoQuotidiano.it. ''Sono passati due anni e un mese – scrive - da quando sono stato costretto a lasciare ancora una volta il mio piccolo paese: Blera, in provincia di Viterbo. Era il 25 agosto del 2016 quando una cooperativa sociale mi offrì un colloquio conoscitivo per una posizione lavorativa come insegnante d’italiano per stranieri, migranti per l’esattezza. Dopo la laurea in Servizio sociale all’Università di Perugia nel 2014, ho deciso di specializzarmi con un Master di 1° livello in ‘Didattica dell’Italiano lingua non materna’. E grazie a questo titolo mi hanno chiamato per ricoprire questo ruolo a Bolzano''.

Nicola C. non è preoccupato per la partenza. Aveva infatti già lascito il suo paese in precedenza: ''all’inizio del 2016 avevo tentato un’altra via di fuga dal piattume lavorativo della mia terra. Direzione Edimburgo, Scozia e prima ancora, nel 2012, ero stato per un Erasmus in Spagna''.

''Dopo la Scozia – prosegue - per varie ragioni sono tornato sui miei passi, soprattutto per aver ricevuto una proposta di lavoro vicino casa, sempre in ambito immigrazione. Finita male appena cinque mesi dopo. Niente stipendio, contratto finto e ore, giorni, settimane di lavoro perse a rincorrere un obiettivo finale chiamato integrazione, dove l’unica opportunità per gli ospiti del centro era quella di ambire ad una giornata di lavoro nei campi a dieci/quindici euro al giorno''.

''Mentre ve lo racconto guardo il calendario e penso a come passi veloce il tempo – aggiunge Nicola C. -. Mi trovo a casa, nel mio Paese, dove vedo coetanei creare una famiglia, anche se tra mille difficoltà. Conoscenti arrancare e sottomettersi ad orari di lavoro usuranti, poco retribuiti e spesso non regolamentati da un contratto di lavoro. Io sono a casa in attesa di un nuovo cambio, mi sono licenziato dall'ennesima cooperativa per accettare un lavoro come educatore nelle scuole per il prossimo anno scolastico. In questi due anni ho accumulato competenze, parlato inglese e francese, ho ascoltato i racconti toccanti degli ospiti dei centri per cui ho prestato servizio, mi sono messo nei loro panni''.

L’insegnante di Blera, infatti, sente di possedere una sorta di affinità con i suoi studenti immigrati: ''penso a quanto noi giovani italiani siamo paradossalmente simili a chi scappa dal continente africano. Scappiamo alla ricerca di un futuro migliore, ma non da una guerra o da una persecuzione; scappiamo dall’ignoranza e dall’incompetenza che spesso affligge le nostre terre, ma non da un dittatore; scappiamo per darci una possibilità, ma ora non potremo più paragonarci agli africani. Il decreto Salvini abolisce la protezione umanitaria, manca di rispetto verso i diritti fondamentali dell’uomo e partire ancora una volta, anche per me, ha il sapore di adesso o mai più''.






Facebook Twitter Rss