ANNO 14 n° 116
Peperino&Co
Gli ospedali di Viterbo
(Parte seconda)
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
18/04/2015 - 02:01

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Un foglio, nemmeno troppo grande, recante 95 punti e affisso sulla porta di una chiesa tedesca, nulla di più; Eppure questo documento, di cui quest’anno si celebra il cinquecentesimo anniversario, cambierà la storia e sarà il primo atto dello scisma Luterano: un evento cruciale per la storia del mondo occidentale. Fu solo pochi anni prima che proprio a Viterbo fu ricevuto Martin Lutero, che di quel documento era l’autore, invitato da Egidio Antonini, allora a capo dell’ordine Agostiniano, di cui il frate tedesco faceva parte, con la speranza di ricucire le divergenze che presto diverranno insanabili.

La divagazione storica su questo personaggio, sembra estranea alla vicenda riguardante l’ospedale della nostra città me è necessaria per accennare all’ importanza di quest’uomo e per delinearne le qualità morali e diplomatiche che devono essergli tornate utili anche in un’altra circostanza, assai meno illustre ma che è per noi di grande interesse: nel 1514, allorché il consiglio comunale di Viterbo deliberò l’unificazione degli ospedali cittadini in un’unica struttura, molti si dimostrarono da subito ostili alla decisione tanto da opporvisi fermamente: fu allora che l’intervento di Antonini, un concittadino illustre e trasversalmente stimato, convinse anche gli scettici della bontà di quella decisione.

Nacque l’ospedale di San Sisto e il suo simbolo, che rimarrà invariato nei secoli successivi, lo stesso che campeggia ancor oggi, non a caso, sulla cancellata della ex Ospedale Grande raffigura tre croci sopra i tre monti Leccetani, non certo per indicare l’adiacente camera mortuaria, bensì in memoria proprio del Cardinale Antonini che aveva questo stemma personale.

Il nuovo ospedale, il primo pubblico della nostra città, dovrà però ben presto subire una grande devastazione per mano dei Lanzichenecchi, le famigerate truppe mercenarie agli ordini di Carlo V, che discesero in Italia nel 1527 compiendo il ''sacco di Roma'',l’evento che pose fine al rinascimento italiano e che causerà grandi danni anche a Viterbo.

La struttura di San Sisto apparve subito irrimediabilmente compromessa e nel 1538 il Comune ordinò che si procedesse con la costruzione di un nuovo nosocomio da erigersi presso la chiesa di Santo Spirito in Faul. I resti di questa struttura sono visibili ancora oggi, la piccola chiesetta, che prese poi il nome di Santa Croce, infatti giace oggi ai margini del grande prato in fondo alla valle.

Questa nuova collocazione tuttavia palesò subito i propri limiti, l’aria malsana ed umida, non era certamente la migliore cura per i malati e, quasi immediatamente, si iniziò a pensare di trasferire nuovamente il complesso.

Grazie, ancora una volta, al cardinale Alessandro Farnese nonché al cardinal de Gambara nel 1575 si poté inaugurare il nuovo ospedale, definito Grande, eretto sul colle del Duomo con il progetto di Domenico Poggi; Il disegno della nuova struttura si basava sul concetto, allora rivoluzionario, delle corsie: stanzoni spaziosi e ben areati che potessero favorire la guarigione dei degenti, A partire da questo primo nucleo l’ospedale crescerà nel corso dei secoli, con interventi ripetuti, tra cui, i più recenti, sono le facciate progettate da Enrico Calandrelli. Il complesso sarà in funzione sino all’alba del secondo millennio, nonostante già nel 1934 fosse stato indetto un concorso per la progettazione di una nuova struttura i cui esiti ebbero vasto eco a livello nazionale, ma come abbiamo visto, verrà chiuso solo nel 2005 quando tutti i reparti saranno trasferiti nella nuova e controversa struttura di Belcolle.

Un’ultima curiosità: quando fu posta la prima pietra dell’attuale ospedale, in essa, fu simbolicamente inserita una piccola pergamena sulla quale fu scritto che la nuova struttura avrebbe conservato lo storico nome di ''Ospedale Grande degli Infermi''. Questa volontà fu però disattesa: del resto la costruzione dell’attuale Belcolle si è protratta per così tanto tempo che si fatica a ricordare cosa ci fosse scritto su quella pergamena.





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