ANNO 14 n° 111
''Gli attentati e le intimidazioni ci hanno cambiato la vita: abbiamo chiuso''
Sfilano le prime vittime di mafia viterbese: ad un Compro Oro due auto bruciate e una testa di agnello insanguinata
29/05/2020 - 07:01

VITERBO – ''Gli attentati, gli incendi e le intimidazioni ci hanno fatto chiudere le attività. Avevamo paura di andare al negozio. E così abbiamo smesso di farlo. La nostra vita è completamente cambiata''. 

Sfilano in aula le prime vittime di mafia viterbese: a parlare ieri, di fronte al tribunale, in un’udienza ancora a porte chiuse a causa dell’emergenza Covid, i proprietari di alcuni Compro Oro che dal 2017 sarebbero stati presi di mira dalla banda, sradicata con il maxiblitz del 25 gennaio 2019.

Uno di loro, titolare come il padre di un’attività in via Leonardo Da Vinci, nell’arco di otto mesi nel 2017 sarebbe stato vittima di ben quattro attentati. Il primo nella notte tra il 7 e l’8 aprile, quando ritrovò la sua auto, parcheggiata sotto casa, avvolta nelle fiamme. Due mesi più tardi, qualcuno gli lasciò una testa di agnello insanguinata sul sedile della macchina, dopo aver mandato in frantumi il finestrino. Il 9 novembre una seconda auto completamente divorata da un incendio doloro. E solo tre giorni più tardi ritrovò la saracinesca del suo negozio imbrattata dalla vernice.

Un’escalation di violenza che lo avrebbe convinto, insieme alla compagna, a rivolgersi alle forze dell’ordine. E come lui, anche altri colleghi imprenditori attivi nel campo dell’acquisto e della rivendita di preziosi.

Secondo gli inquirenti, sarebbero caduti nella rete del sodalizio criminale, nei cui piani rientrava il controllo delle principali attività economiche della città.

In tredici sono finiti in manette più di un anno fa, tra loro i presunti vertici del sodalizio Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato: dieci devono rispondere di associazione di stampo mafioso per aver messo a ferro e fuoco la città per oltre due anni e sono a processo di fronte al gup romano Emanuela Attura con rito abbreviato. Mentre a tre, Emanuele Erasmi, Manuel Pecci e Ionel Pavel, a processo a Viterbo con l’ordinario, viene contestata solamente l’aggravante del metodo mafioso: per l’accusa si sarebbero rivolti al sodalizio per risolvere controversie personali, intimidendo e minacciando le loro vittime con atteggiamenti tipici dell’organizzazione malavitosa.

Ma sarebbero comunque del tutto estranei alle ricostruzioni fino ad ora fatte in aula: gli incendi alle autovetture, i pedinamenti, le teste di animali morti non porterebbero la loro firma.

Dovranno tornare in aula a fine giugno.





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