ANNO 14 n° 110
Giro d’usura,
15 rinvii a giudizio
Ieri la decisione del gup Rigato
dopo 4 ore di udienza preliminare
22/07/2016 - 02:01

VITERBO – Tutti rinviati a giudizio. I quindici imputati di Viterbo, Canepina, Vignanello e Civita Castellana, accusati di associazione a delinquere finalizzata all’usura, dovranno affrontare il processo penale per volontà del giudice per l’udienza preliminare Francesco Rigato.

La decisione è arrivata ieri, dopo circa quattro ore di camera di consiglio, accogliendo le richieste formulate dal pubblico ministero, Paola Conti. Ben diversamente orientati i difensori dei quindici indagati, ora formalmente imputati: per loro, tutti avevano richiesto il non luogo a procedere per infondatezza delle accuse.

L’inchiesta è scoppiata nel 2010 quando un imprenditore di Canepina, spinto sull’orlo del suicidio, denunciò un presunto giro di usura di cui sarebbe caduto vittima. Immediate le indagini della guardia di finanza, a seguito delle quali, il 20 maggio 2010, scattarono tredici misure cautelari a carico di imprenditori, artigiani e liberi professionisti della zona. Per alcuni di loro si aprirono le porte del carcere, altri, invece, finirono agli arresti domiciliari.

Dalle indagini degli inquirenti, i fatti denunciati, risalirebbero ad un periodo ben precedente al 2010: T.C., costituitosi parte civile nel processo, avrebbe richiesto soldi a famigliari, parenti ed amici per risolvere i suoi gravi problemi economici. Denaro, che, però, avrebbe dovuto restituire con tassi di interesse vicini al 20 mila per cento.

Per il gup Rigato sarebbe caduto vittima di una vera e propria organizzazione di criminali dediti allo strozzo. Che dovranno difendersi di fronte ad un collegio di giudici: la prima udienza è stata fissata per il 13 dicembre prossimo.

E intanto, fuori dall’aula, le reazioni degli imputati non si sono fatte attendere.

''Sono innocente. Mi hanno rovinato la vita, da sei anni a questa parte non ho più la normalità e la serenità di una volta. Per dormire prendo le gocce, così come per calmare i miei attacchi di panico – si è sfogato P.V., assistito dall’avvocato Pietro Marziali - Quando tutta la vicenda giudiziaria è scoppiata, avevo una famiglia, una moglie, un lavoro. Ora mi è rimasta solo la mia agenzia di pompe funebri. Ho divorziato. E non mi consola nemmeno l’idea della vicina prescrizione: io non voglio questa conclusione. Io, a questo punto, voglio affrontare il processo e avere la possibilità di dimostrare la mia innocenza. Ho una figlia, non voglio che si vergogni di suo padre. Voglio che sia orgogliosa di me, perché sono una persona per bene.''.






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