ANNO 14 n° 116
Giallo di Gradoli, Valentini: ''Abbiamo lottato fino all'ultimo''
16/11/2013 - 04:00

di Alessia Serangeli

VITERBO – Allora, forse, c'è qualcosa che va rivisto. Rianalizzato, sviscerato.

Sì, certo, i casi in discussione davanti alla Suprema Corte, ieri, erano tredici. Quasi tutti omicidi, roba seria e, per questo, i giudici capitolini hanno preferito riservarsi e prendersi più tempo prima di emettere il verdetto definitivo; (ma non è detto).

Forse, arrivati al terzo grado di giudizio, ci si è resi conto che, magari, come sostiene il collegio difensivo, qualche lacuna rispetto al castello accusatorio c'è eccome. Forse, i giudici della Corte di Cassazione vogliono esaminare a fondo quella che l'avvocato Enrico Valentini, legale di Paolo Esposito, aveva definito “una sentenza traballante” in cui si evidenzia “illogicità e contraddittorietà della motivazione”, in riferimento al verdetto della Corte d'assise d'appello. 

“Abbiamo lottato fino all'ultimo”. Questo, ieri sera, l'unico commento a caldo del legale che, è vero, gli va riconosciuto, nel “Giallo di Gradoli” ci ha messo anima e corpo. E cuore, tanto. Convinto fin dalle prime battute che Esposito fosse innocente ha combattuto con tutte le armi lecite a sua disposizione per far venir fuori la verità raccontata dal suo assistito, il buon elettricista di Gradoli. 

In questi quattro anni e mezzo ha studiato e ristudiato il fascicolo, arricchendolo di nuove intuizioni scaturite dalle indagini difensive compiute insieme ai suoi colleghi di studio e al professor Bruno, l'avvocato della co-imputata Ala Ceoban. Ha scomodato il perito dei periti Luciano Garofano; e anche Giorgio Portrera, lo stesso consulente che si è occupato del caso Claps. Quando la piccola Erika è stata affidata ad un'amica della nonna materna, Elena Nekifor, ha raggiunto Bologna con digitale alla mano e casco in testa per non essere riconoscibile; poi è tornato a Roma e ha presentato al tribunale dei minori la documentazione fotografica per dimostrare che nonna e nipote si incontravano da sole e non, come avevano ordinato i giudici, in presenza degli assistenti sociali. La battaglia per la piccola Erika, però, è stata persa un paio di settimane fa, quando il tribunale dei minori ha dichiarato decaduta la patria potestà di Esposito. Male era andata anche nell'Aula 4 del tribunale viterbese e davanti alla Corte d'assise d'Appello di Roma. In entrambi i casi Esposito è stato condannato all'ergastolo perché riconosciuto quale esecutore materiale del duplice omicidio di Tatiana Ceoban e della figlia 13enne Elena. Diverso l'excursus processuale della giovane Ala Ceoban che, se in primo grado le era stata inflitta la pena del carcere a vita perché considerata la “mente del disegno criminoso”, in Appello viene condannata a quattro anni e mezzo per aver “favorito l'amante nell'occultamento dei cadaveri”. Tra i due verdetti c'è qualcosa che torna mica tanto su cui, forse, i giudici supremi faranno chiarezza il 26 novembre, giorno in cui è stata fissata la lettura del dispositivo della sentenza. 

Esposito, chiuso in una cella del carcere Mammagialla dal 1° luglio 2009, magari è colpevole per davvero ma, forse, i magistrati romani non sono convinti che lo sia al di là di ogni ragionevole dubbio. Forse i nove punti messi nero su bianco sull'atto di impugnazione a firma di Valentini vanno rivisti e meritano di essere presi in maggiore considerazione. Le tracce ematiche, i tabulati telefonici e quella anomalia che emerge dall'istogramma “Distribuzione traffico Capodimonte cella 43461”. Anomalia che fa tornare a galla il forte dubbio che Tatiana non fosse sul pullman di ritorno da Viterbo per Gradoli, come sempre sostenuto dall'accusa sulla base di una telefonata. “Alle 17,36 Tania chiama la figlia, il suo telefono aggancia la cella di Capodimonte”. Circostanza confutata dall'istogramma da cui, invece, si evince che alcuna telefonata è stata registrata nel tragitto che avrebbe dovuto compiere la moldava 36enne se fosse stata sul mezzo pubblico. 

Tra dieci giorni Paolo ed Ala conosceranno il loro destino. E anche il pubblico spettatore del “Giallo di Gradoli”.





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