ANNO 14 n° 79
Giallo di Gradoli, Ala Ceoban chiede la protezione internazionale
Pericoloso un suo rientro in Moldavia
25/05/2018 - 02:17

GRADOLI – C'è chi in Moldavia la vorrebbe vedere morta. C’è chi la vorrebbe ''seppellire viva sotto metri e metri di terra'' nel caso in cui rimetta piede all’interno del suolo nazionale.

Per questo Ala Ceoban, la 33enne moldava condannata in primo grado all’ergastolo per aver occultato assieme all’amante i cadaveri di sua sorella Tatiana e sua nipote Elena, vorrebbe richiedere la protezione internazionale. Il diritto di asilo, che in Italia è garantito dall’articolo 10 della Costituzione: ''Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge''.

Condannata in primo grado all’ergastolo assieme al cognato e amante Paolo Esposito, per la moldava la pena venne poi ridotta a otto anni. Nell’aprile del 2015, dopo i sette anni scontati all’interno del carcere femminile di Civitavecchia, il ritorno in libertà. E l’inizio di una lunga battaglia legale per restare in Italia.

Difficile ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, a causa dei pesanti precedenti penali a suo carico. Altrettanto difficile, il ritorno a casa, date le minacce di morte ricevute. Per questo, dal giorno in cui è stata scovata a Tarquinia dagli uomini della polizia, Ala Ceoban vive all’interno di un centro di permanenza per il rimpatrio a Ponte Galera. Come congelata, in attesa della decisione del tribunale di Viterbo, che potrebbe optare per un suo ''non rimpatrio'', dato il reale pericolo che correrebbe tornando in Moldavia.

Intanto però, salta l’udienza davanti al giudice di pace Fabio Ruffo, che ieri avrebbe dovuto decidere delle sue sorti: un’incompatibilità dovuta ad atti precedenti ha di fatto costretto il giudice a rinviare gli atti al presidente del tribunale per assegnare il fascicolo ad un altro collega.





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