ANNO 14 n° 89
Fuga dalle urne, Signori: ''E' il momento di preoccuparsi''
Il presidente di Confartigianato
analizza il fenomeno crescente
24/05/2016 - 10:29

VITERBO - Riceviamo e pubblichiamo dal presidente di Confartigianato Stefano Signori

La grande fuga dalle urne che dimostra come stiamo diventando un Paese di astensionisti. Eravamo i primi al mondo, per trent’anni l’affluenza non è mai scesa sotto il 90%. Poi qualcosa si è rotto.

Un’atipicità dal punto di vista della vita associativa come quella di Confartigianato, alle cui consultazioni si presenta la quasi totalità degli associati, o di persona o per delega. Al contrario, alle consultazioni politiche solo il 40% degli italiani decide se votare di volta in volta, il 20% invece ha smesso del tutto. Per almeno trent’anni gli italiani sono andati a votare in massa, partecipando alle elezioni con percentuali superiori al 90%.

Federico Fornaro, Senatore del Partito Democratico, recordman di presenze a Palazzo Madama ed esperto di flussi elettorali, ha da poco pubblicato per Epoké il saggio ''Fuga dalle urne''. Un lungo studio che ripercorre la storia della partecipazione elettorale nel nostro Paese, dall’Unità d’Italia ai giorni nostri. E le conclusioni non sono positive. Se l’affluenza alle urne è un indicatore del corretto funzionamento del rapporto tra cittadini e istituzioni, è arrivato il momento di preoccuparsi. ''Se nel 2013 si è registrata la più bassa percentuale di votanti nella storia repubblicana alle elezioni Politiche - spiega Fornaro - è evidente che qualcosa non funziona''. Qualcuno potrebbe non essere d’accordo.

È davvero così importante andare a votare in massa? Alcuni Paesi saldamente democratici registrano tassi di partecipazione al voto nettamente inferiori ai nostri. Eppure nessuno denuncia la crisi dei loro sistemi politici. Il riferimento è sempre agli Stati Uniti d’America. Intanto anche gli italiani stanno perdendo la voglia di andare a votare. La spiegazione, può essere ricercata indietro nel tempo. Guardando indietro, infatti, possiamo scorgere un dettaglio risalente al periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia.

''Parliamo di oltre un secolo e mezzo fa, eppure in quella fase c’è un elemento di grande modernità''. Qual è il peccato originale? Le classi dirigenti dell’epoca decidono di escludere dalla vita pubblica gran parte della popolazione maschile adulta. Una volta effettuata tale scelta, rieducarla diventa quasi impossibile. Nel 1860 si arriva a restringere l’elettorato potenziale a circa il 2% della popolazione.

''Quando parliamo dello scarso senso civico italiano, non possiamo dimenticare quella scelta. Per lungo tempo una larga parte della popolazione è stata, di fatto, esclusa dalla cittadinanza. Un problema che, se attualizzato, le conseguenze potremmo pagarle ancora adesso''. Di fatto potrebbe crearsi un’emergenza democratica. Il passaggio alla seconda Repubblica si accompagna all’emergere di una nuova tipologia di elettore: l’astensionista intermittente. Sono i votanti che decidono se recarsi ai seggi a seconda dell’elezione. Dopo la seconda guerra mondiale, cambia tutto.

Il trentennio dal 1946 al 1976 ''è l’età dell’oro della partecipazione elettorale''. In questi anni le percentuali di affluenza alle urne superano stabilmente il 90%. ''I motivi sono diversi. Anzitutto c’è una forte voglia di partecipazione dopo vent’anni di regime fascista. Senza dimenticare l’introduzione del suffragio universale''. Alle amministrative del 10 marzo 1946 votano per la prima volta anche le donne. E poi c’è il ruolo dei partiti politici. ''Hanno svolto una vera e propria “educazione alla democrazia”. Senza considerare che in un clima di scontro ideologico molto forte, non andare al voto equivaleva ad essere disertori in guerra''. Sono decenni in cui l’astensionismo rimane un dato di fondo. Con valori minimi e, in un certo senso, fisiologici.






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