ANNO 14 n° 116
Feto nel cassonetto, oggi la sentenza
La madre rischia fino a 30 anni di carcere per omicidio volontario
28/09/2016 - 02:00

VITERBO – Manca davvero pochissimo al verdetto. Una manciata di ore e la verità processuale sul feto ritrovato nel cassonetto nel 2013 vedrà la luce. Oggi di fronte al giudice per l'udienza preliminare Savina Poli si terrà infatti la discussione di uno dei casi giudiziari più delicati degli ultimi anni.

Alla sbarra, con l'accusa di omicidio, occultamento di cadavere e favoreggiamento, una giovane rumena e un infermiere. L’una colpevole, secondo la procura, di essersi sbarazzata del feto di 28 settimane che portava in grembo, l’altro di averla aiutata a procurarsi delle dosi di ossitocina per indurre le doglie e quindi il parto. Entrambi, invece, di aver gettato la piccola creatura in un cassonetto, sconvolgente conclusione di un crudele piano per disfarsene.

È il 2 maggio 2013, un caldo pomeriggio di primavera, quando in via Agostino Solieri viene fatta la macabra scoperta: avvolto in una busta nera dell’immondizia, tra i rifiuti, il feto.

Ventotto settimane, poco meno di un chilo di peso e una contusione alla testa, non compatibile, però, con le cause della morte. Un ematoma dovuto probabilmente all’urto con il water al momento della sua nascita, in quell’appartamento del quartiere di San Faustino, in cui la piccola ha visto la luce e anche la morte.

Morte che sarebbe avvenuta per la totale mancanza di cure specialistiche dopo il parto. A sostenerlo è il risultato di una perizia collegiale voluta dal giudice per le udienze preliminari Salvatore Fanti: secondo il team di esperti, il feto al momento del parto respirava, era vivo. Solo dopo sarebbe morto.

Ed è proprio da queste conclusioni che trae forza l’intero apparato accusatorio del pubblico ministero Franco Pacifici: per lui non c’è dubbio, si tratta di omicidio volontario. La donna, ormai al settimo mese di gravidanza, avrebbe assunto l’ossitocina per indurre le contrazioni e quindi il parto. Aiutata da compagno, si sarebbe poi disfatta del feto, che, se solo avesse ricevuto le giuste cure necessarie, avrebbe potuto salvarsi.

Di tutt’altro avviso la difesa: per la donna si può solamente ipotizzare l’accusa di aborto avvenuto al di fuori del termini e delle norme di legge. Nulla di più.

Due ricostruzioni opposte che si trascinano dietro pene molto differenti in caso di condanna: 30 anni per l’omicidio, data la scelta del rito abbreviato, un massimo di 3 anni per l’aborto fuori norma.

Stamani la verità.





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