ANNO 14 n° 109
''Extravanguardia'', c'è anche Talotta
Mercoledì a Roma il vernissage. In mostra anche l'artista viterbese
10/09/2018 - 12:52

VITERBO – L’artista viterbese, Alfonso Talotta, partecipa a una mostra collettiva che si inaugura mercoledì 12 a Roma dal titolo Extravanguardia - Necessità della pittura.

La mostra, curata da Gianni Garrera, ospitata presso la Silber Gallery (viale Regina Margherita ,92 Roma) è il primo capitolo di una serie di esposizioni che si terranno prevalentemente in spazi pubblici nel corso di un triennio. Si tratta di un’esplorazione che tenderà a ridefinire una genealogia di pitture e pittori italiani. Lo scopo del progetto è ridisegnare una sorta di stirpi di poetiche pittoriche, di ascendenti e discendenti, di cui si è perso il collegamento ma che costituiscono un percorso necessario di storia dell’arte.

In esposizione circa 30 dipinti su tela di dimensioni dal 60x80 al 100x120. Insieme a Talotta ci saranno opere di Antonio Del Donno, Antonio Dentale, Alessandro Gamba, Alexander Jakhnagiev, Michele Longo, Danilo Maestosi, Gino Meloni, Luigi Montanarini, Giorgio Ascani Nuvolo, Silvano Piersanti, Corrado Veneziano.

Si racconta che Cézanne, davanti alle Nozze di Cana di Veronese, avesse affermato che l’acqua viene tramutata in vino come il mondo viene tramutato in pittura.

La natura e il mondo non sono che acqua, per tramutarli in vino bisogna dipingerli. Ma ogni miracolo, anche un miracolo pittoresco del genere, presuppone fede, pertanto anche il dipingere richiede fede prima delle opere.

Se, dunque, seguendo una legge più apostolica che estetica, si giudicasse un artista non dalle opere ma dalla fede che ha nella pittura, avremmo un criterio, per quanto aberrato, secondo il quale dovremmo escludere anche il principio della fortuna, delle valutazioni e mantenere solo quello paradossale della fede. Bisognerebbe costruire una mostra di pittura secondo la giustificazione che verrebbe dalla fede prima di tutto e non dalle opere? Le opere, semmai, sono necessarie solo per giudicare la fede, sono i segni esteriori non dell’evolversi dello stile quanto del maturare di una credulità.

Allora la scelta dei pittori di una mostra dovrebbe attenersi al principio che a giustificare la pittura debba essere la fede che se ne ha. Questa fede implica, a livello operativo, l’aderire primario alla pittura stessa, il non ricorrere a surrogati, a processi, a soluzioni plagali, né a valori extrartistici, ma l’affidarsi ellittico al solo tingere (Del Donno afferma: «tingo non dipingo»), l’opera non ha bisogno di relazionarsi con una realtà, perché si ha fede solo delle cose invisibili, in questo senso si costituisce un capitolo di storia asociale dell’arte.

La pittura è la stessa speranza (Flaubert la definirebbe: il cuore semplice dell’arte) che deve essere senza impazienza, senza presunzione, deve tendere ad essere significante di per sé e indipendente dalle cose e dai risultati, non deve essere invidiosa, non deve vantarsi, non cercare il proprio interesse, non tenere conto della sfortuna, anzi, dovrebbe credere che il dipingere “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

La mostra resterà aperta fino al 5 ottobre.






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