ANNO 14 n° 89
Dopo oltre 10 anni al via il processo sulla morte del medico
11/06/2014 - 00:00

VITERBO – Finalmente. Dopo dieci anni e quattro mesi il caso sarà dibattuto in un’aula di tribunale. Ci siamo: giovedì prossimo, 12 giugno, è prevista la prima udienza del processo volto ad accertare la verità sulla morte dell’urologo siciliano Attilio Manca.

La signora Angela e il figlio Gianlunca, rispettivamente mamma e fratello del medico, fanno il conto alla rovescia su facebook: entrambi hanno un profilo sul social network che conta di quasi cinquemila amici ciascono. “Ho imparato ad usare il computer e a capire come funzionano i social a settant’anni, quando ho capito che poteva essere utile per far conoscere la storia di mio figlio; l’ingiustizia che abbiamo subito”. Così, diverso tempo, ci aveva confidato la signora Angela, ribattezzata dalle cronache “mamma coraggio”.

Non si è arresa, mai, in questi lunghissimi dieci anni. “Io e la mia famiglia non ci fermeremo finché non avremo ottenuto verità e giustizia per Attilio”. Questo, fin dal 12 febbraio 2004, il leit motiv della sua battaglia. Non si è fermata nemmeno quando la Procura, per quattro volte consecutive, ha archiviato il caso. “Morte per overdose”.

Il primo, piccolo spiraglio è arrivato il 3 marzo scorso quando il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Viterbo, Franca Marinelli, aveva depositato la sentenza: “Il vaglio dibattimentale si impone per l’accertamento della verità sostanziale”, scriveva, fissando l’udienza al 12 giugno 2014. Ci siamo.

Il dispositivo faceva seguito alla seduta del 3 febbraio, sede in cui il giudice aveva ordinato il dissequestro degli effetti personale dell'urologo e la restituzione ai familiari, rinviando a giudizio l’unica imputata Monica Mileti, 55 anni, di Roma, per spaccio. Cioè per aver ceduto a Manca la droga che, poi, l’avrebbe ucciso.

La teoria della famiglia Manca, come noto, è quella dell’omicidio di mafia. “Mio figlio operò a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano – ha spiegato in decine di occasioni la signora Angela -; era diventato un testimone scomodo, per questo me l’hanno ammazzato”.

Diverse le segnalazioni e gli indizi sostenuti a conferma della tesi mafiosa (vedi link), ma recentemente il caso Manca è stato affossato in commissione parlamentare Antimafia. Il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, il 19 aprile scorso aveva smontato ogni possibile collegamento tra morte dell’urologo di Barcellona di Pozzo di Gotto e l’operazione del “capo dei capi”.

“Me ne sono occupato quando ero sostituto a Palermo – aveva spiegato il magistrato -. Rispetto alle ultime emergenze, sia pure di tipo giornalistico e mediatico, sento il dovere di dire almeno una cosa. C’è un processo che si è svolto a Palermo, che si è concluso con sentenze divenute definitive, cioè con tre gradi di giudizio, con condanne e, quindi, con l’accertamento delle responsabilità penali, in cui è stata ricostruita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi passaggi, anche geografici, quella che mediaticamente è stata definita la «trasferta» di Bernardo Provenzano nel territorio di Marsiglia per sottoporsi a un’operazione chirurgica”. 

La famiglia non ci sta e confida nell’imminente dibattimento. A destare dubbi e perplessità anche nell’opinione pubblica avevano contribuito le foto di Attilio cadavere, divulgate dalla famiglia “per far conoscere la verità”. Le immagini, diffuse nello scorso mese di febbraio, avevano fatto il giro di giornali e tivù, lasciando di stucco a colpo d’occhio perché si vede il medico con il volto tumefatto e sanguinante. Il naso deviato ed il cadavere pieno di escoriazioni. La lesione alla scroto. Che significano? L’urologo aveva subito un pestaggio? Era stato picchiato? Adesso, con il processo, ogni eventuale lacuna investigativa, è destinata ad essere colmata.

“Il processo si svolgerà di fronte a un giudice terzo non condizionato; abbiamo già una lunga lista di testimoni”, aveva anticipato l’avvocato Antonio Ingroia, l’ex pm di Palermo, oggi legale dei Manca.





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