ANNO 14 n° 88
Disposta l'autopsia sul boss Schiavone
L'incarico sarą affidato questa mattina, sequestrata la cartella clinica a Belcolle
23/02/2015 - 00:00

VITERBO – Sarà affidato oggi l'incarico per l'esecuzione dell'autopsia sul cadavere di Carmine Schiavone, il 72enne ex boss dei casalesi, collaboratore di giustizia, morto ieri mattina nell'ospedale di Belcolle. Era stato ricoverato in seguito ad una caduta nella sua abitazione nei paraggi del lago di Vico, che gli aveva provocato la frattura di una vertebra. Nei giorni scorsi era stato sottoposto a un intervento chirurgico e sarebbe dovuto essere dimesso in settimana, ma ieri mattina le sue condizioni sono improvvisamente peggiorate. Poco dopo la morte. Stando a quanto dichiarato all'Ansa da uno dei suoi avvocati, Schiavone sarebbe stato stroncato da un infarto.

Ieri, i carabinieri, su incarico della Procura della Repubblica, hanno sequestrato la cartella clinica dell'ex cassiere'' del clan dei casalesi e hanno ascoltato i medici che lo avevano in cura. In particolare hanno ricostruito il decorso post operatorio del collaboratore di giustizia che viveva sotto false generalità in provincia di Viterbo insieme con la moglie e due figli.

Al processo ''Spartacus'' contro i vertici del clan dei casalesi, Schiavone, con le sue rivelazioni, non solo portò alla condanna di sedici boss, tra i quali suo cugino, il famigerato ''Sandokan'', ma contribuì a scoperchiare una fitta rete di collusioni tra camorra, politica e mondo imprenditoriale.

''Il nostro era un clan di Stato: noi facevamo i sindaci in tutti i centosei comuni della provincia di Caserta. Noi potevamo fare tutto''. Non era un pentito qualsiasi Schiavone. E' stato il primo a svelare i traffici del più potente clan camorristico e, soprattutto, a raccontare come e quando la provincia di Caserta è stata trasformata in un'immensa discarica dove accogliere ogni tipo di rifiuto tossico. Omicidi, guerre tra clan, collegamenti con le altre organizzazioni criminali, rapporti tra politica e camorra, infiltrazioni nell'economia, traffico di rifiuti.

Le parole di Schiavone, raccolte in decine e decine di verbali a partire dal maggio del 1993, hanno sconquassato un sistema che andava avanti da decenni e hanno portato, due anni dopo, al maxi blitz contro i casalesi che fece finire in cella 136 persone. Dissero che si pentì perché sospettava che qualcuno all'interno del clan lo avesse tradito, dopo un'evasione dai domiciliari. Fatto sta che le sue dichiarazioni al processo furono la base per una pioggia di condanne, tra cui quelle per suo cugino Francesco Schiavone, detto ''Sandokan'', Francesco Bidognetti e Michele Zagaria, la cupola del clan.

''La sua collaborazione fu fondamentale - racconta oggi il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, che nel 1993 raccolse le parole di Schiavone e sostenne l'accusa al processo -, fu il primo esponente del clan ad aprire uno squarcio sul sistema criminale creato dai casalesi e l'unico che davvero ci ha aiutato a capire una realtà in cui accanto alla forza militare c'era una rilevante forza economico-imprenditoriale''.

Per spiegare come funzionavano le cose nella provincia di Caserta, il boss pentito raccontò un aneddoto. ''A Villa Literno ho fatto io stesso l'amministrazione comunale. Abbiamo candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto e abbiamo fatto eleggere dieci consiglieri...un seggio lo hanno preso i repubblicani, otto i socialisti ed uno i comunisti, un certo Fabozzo. Ho detto: tu fai il sindaco tu l'assessore e così via. Mi hanno però detto che mancava un consigliere per avere la maggioranza e allora ho detto andate a prendere Enrico Fabozzo e lo facciamo diventare democristiano. La mattina dopo lo facemmo assessore al personale. Era così che si facevano le amministrazioni''.

Anche l'assegnazione degli appalti funzionava alla stessa maniera: ''Ai comuni - ha rivelato Schiavone - dicevano che sui grandi lavori edili avrebbero trattato con noi al 2.5%. La tariffa prevedeva il 5% sulle opere di costruzione e 10% sulle opere stradali. Le strade rendevano di più perché ogni anno si rifanno. Il capitolato stabiliva sei centimetri di asfalto e invece ne venivamo messi tre''.

''Grazie a lui - dice ancora Cafiero De Raho - scoprimmo che il clan controllava ogni attività economica nel casertano. E poi arrivarono le dichiarazioni choc sui rifiuti''. Parole che nessuno ha più dimenticato. Gli inquirenti le conobbero già in quegli anni, avviando le verifiche, e la politica nel 1997, quando Schiavone depose alla commissione d'inchiesta sui rifiuti. Quel verbale è stato desecretato nel 2013, lo stesso anno in cui Schiavone uscì dal programma di protezione nel quale rimangono invece i suoi familiari. ''Per l'immondizia entravano 100 milioni al mese, poi mi sono reso conto che il profitto era di almeno 600-700 milioni al mese'', dichiarò a verbale raccontando cosa c'è sotto la terra dei fuochi. ''Dalla Germania arrivavano camion che trasportavano fanghi nucleari. Arrivavano in cassette di piombo da 50'; e poi c'erano fusti che contenevano toluene, proveniente dalle fabbriche della zona di Arezzo, e rifiuti che arrivavano da Massa Carrara, Genova, La Spezia, Milano. Vi sono molte sostanze tossiche come fanghi industriali, rifiuti di lavorazione di tutte le specie, tra cui quelli provenienti dalle concerie, dovrebbero esserci anche rifiuti radioattivi collocati in un terreno sul quale oggi vi sono i bufali e su cui non cresce più erba''. Per il clan, diceva Schiavone spiegando che questa storia andava avanti da metà degli anni ottanta, era indubbiamente un ''buon business'', anche se il paese sarebbe stato avvelenato.

''Si toglieva la sabbia che serviva per le costruzioni - ha raccontato - e nelle vasche, di notte, i camion scaricavano i rifiuti che venivano coperti con un po' di terreno''. Quando gli chiesero di quante migliaia di tonnellate stesse parlando, Schiavone rispose: ''Ma quale migliaia, qui si parla di milioni e milioni di tonnellate. Per bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato di un anno''. La conseguenza Schiavone la conosceva bene, già nel 1997: ''Gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno – disse -, rischiano di morire tutti di cancro entro venti anni. Avranno forse venti anni di vita, ma non credo che si salveranno''. 





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