ANNO 14 n° 88
Diego Urbina racconta i suoi 520 giorni nel modulo spaziale
Intervista esclusiva al membro italiano dell'equipaggio di Mars 500
19/03/2012 - 17:51

di Giovanna Bianconi

 

VITERBO - Grazie alla partecipazione del gruppo di ricerca del Prof. Canganella (Università della Tuscia) al Mars500 è stato possibile intervistare in esclusiva assoluta Diego Urbina, l’ingegnere italiano che ha preso parte all’ambizioso programma scientifico, a poche ore dalla sua conclusione.

Qual è stata l’emozione predominante all’uscita dal Nek, dopo ben un anno e mezzo di simulazione?

Mah, il mio cuore andava a mille chilometri all’ora, le mie gambe tremavano, l’odore che sentivo nell’aria era un po’ strano, diverso. In sintesi molta emozione, adrenalina.

Il primo pensiero che le è venuto in mente quando ha visto tutta quella gente, all’uscita.

Erano come degli alieni, persone che non vedevo da talmente tanto tempo che mi sembravano strane. C’era molta confusione.

Chi è stata la prima persona cara che ha visto appena uscito, e che cosa ha pensato?

Cercavo mia madre e ogni volta che la guardavo rischiavo di commuovermi, quindi ad un certo punto ho smesso di cercare il suo sguardo, anche perché sapevo che di lì a poco avrei dovuto rilasciare la mia dichiarazione…

E la prima persona che ha visto e che ha riconosciuto tra gli scienziati e lo staff?

Tutti e nessuno, avevo troppa adrenalina in corpo. Guardavo la folla ma non distinguevo i singoli…

Una domanda un po’ personale: tra le persone care, con chi ha parlato per primo, e cosa vi siete detti?

Ho parlato subito con mia madre. Le ho detto “Ti voglio bene”.

Saremmo curiosi di sapere come ha passato l’ultima settimana.

Avevamo moltissime cose da fare, ovviamente eravamo molto contenti, ma anche molto concentrati: il nostro programma di lavoro era davvero fitto per terminare le attività e preparare le attrezzature.

Come ha passato l’ultimo giorno, e soprattutto l’ultima notte?

Durante il giorno siamo stati impegnatissimi, non c’è stato molto tempo per pensare. Stanotte, mentre tutti gli altri dormivano, sono rimasto a pensare al significato di quello che abbiamo portato a termine, a cosa sarebbe successo oggi e cosa avrei provato. Avrò dormito al massimo 4-5 ore. Credo che solo adesso che siamo usciti dal simulatore iniziamo davvero a renderci conto della differenza tra la vita al suo interno e quella fuori.

Quali sono stati i punti critici, poi risolti, di questa esperienza?

Ci sono stati diversi momenti difficili, soprattutto quando eravamo lontani dai momenti importanti, ovvero l’inizio della simulazione, l’atterraggio su Marte o sulla Terra. Altri momenti difficili dal punto di vista emotivo sono stati durante il periodo estivo, perché le persone sulla Terra erano in vacanza e ricevevamo pochissimi messaggi, ad agosto per esempio.

In questi momenti quindi essere un equipaggio affiatato rappresenta un aiuto?

Sì. Soprattutto nei momenti difficili ovviamente è importantissimo, e questi momenti li superi perché sei con altre cinque persone. Non credo che sarebbe possibile fare un viaggio del genere in due o addirittura da soli. Inoltre c’è una grande varietà tra la personalità dei membri del nostro gruppo, quindi ognuno contribuisce a suo modo ad aiutare gli altri.

Il vostro equipaggio come sappiamo oltre a lei è composto da tre russi, un cinese ed un francese. Pensa che la differenza culturale all’interno del gruppo vi abbia aiutato o limitato?

Credo che sia stata una ricchezza, abbiamo imparato molto gli uni degli altri e allargato i nostri orizzonti mentali. Le differenze culturali certamente ci sono, ma più di tutto contano le personalità degli individui, e da questo punto di vista credo che sia stata fondamentale la selezione dell’equipaggio da parte degli psicologi.

Ha trovato differenza tra ciò che si aspettava e ciò che poi è successo durante la simulazione?

Ad essere sincero, mi aspettavo maggiori difficoltà in generale. Certo è stato duro arrivare fino ad oggi, ma non pensavo di arrivare alla fine senza grandi scossoni.

Cosa l’ha colpita di più durante tutti questi mesi?

Una cosa positiva e una negativa. La cosa positiva è stata la comunicazione con i ragazzi delle scuole tramite Twitter e YouTube. Per me è stato molto bello, un gran supporto, anche per via della reazione e dell’interesse dei bambini per la simulazione. Mi aspettavo qualche momento difficile, e giugno e agosto per me sono stati due periodi un po’ difficili.

Anche qualche simulazione un po’ dura…

Sì, ad un certo punto hanno tolto l’energia elettrica a tutta l’installazione. Dovevamo arrangiarci, rinunciare a tutto ciò che funziona con l’energia elettrica, sistema di supporto vitale incluso. Non sapevamo che era una simulazione. Ci hanno solo detto che c’era un problema con i trasformatori fuori, quindi non potevamo fare nulla per aggiustarli. Ma ce l’abbiamo fatta, reagendo pazientemente e facendo tutto ciò che potevamo.

Il gruppo del Prof. Canganella era qui a giugno, proprio in quei giorni…

Ma va’? Davvero?

Sì, e temevano che avreste battuto i pugni sui portelloni per uscire!

Certo, essere chiusi in sei in un modulo artificiale così piccolo senza elettricità significa veramente vivere in un ambiente ostile... Si, infatti temevamo che ad un certo punto l’ossigeno sarebbe finito. Abbiamo chiesto al centro di controllo quanta fosse l’autonomia, e ci hanno detto che ce lo avrebbero comunicato appena possibile. Da allora nessuno si è più fatto sentire, quindi abbiamo fatto da noi tutti i calcoli, e dopo aver capito che non avremmo avuto problemi per almeno due giorni, ci siamo tranquillizzati.

L’ambiente dei moduli vi ha influenzato dal punto di vista psicologico o operativo? I colori e i materiali secondo lei hanno rilevanza quando si vive in un ambiente così ristretto per un ben anno e mezzo? Qualcuno dice che forse si dovrebbe usare il Feng-Shui per i colori e altri parametri.

Sicuramente gli psicologi hanno studiato anche questi aspetti, decidendo per il legno. Secondo me gli ambienti con pareti di legno sono stati positivi per noi. Abbiamo visto i video delle precedenti simulazioni, in una del 1999 le pareti erano bianche, molto sgradevoli. Secondo me il legno è un materiale caldo, vivo, e crea un ambiente positivo per l’equipaggio.

Gli scienziati della Tuscia hanno partecipato fin dai primi momenti, e hanno avuto il privilegio di entrare nel modulo fin dalle prime fasi dell’esperimento, mentre stavano costruendo i moduli del Nek. Si aspettavano una struttura più asettica, di metallo e con materiali tipicamente spaziali (alluminio, nomex, armaflex, ecc.) e all’epoca rimasero stupiti del fatto che gli interni fossero quasi completamente di legno. Secondo lei può essere un materiale candidato per un utilizzo in ambito spaziale?

 Il legno non dà proprio l’impressione di un ambiente hi-tech, e dal punto di vista ingegneristico forse sarebbe difficile utilizzarlo nel settore aerospaziale, ma ha molti pregi. Oltre all’aspetto psicologico, è un materiale duttile e comodo per gli adattamenti durante il periodo della missione: si può tagliare un pezzo qui, aggiungere lì, forare, ecc..

In definitiva, questa esperienza cosa le ha lasciato dal punto di vista umano?

Molto. Sicuramente mi ha messo più in contatto con la mia umanità, con i miei difetti e anche con i miei pregi.

Lo rifarebbe quindi?

Non lo so, se me lo chiede adesso, appena uscito dal Nek, oggi per domani le rispondo sicuramente di no.

Quindi non lo consiglierebbe ad un amico?

Dipende dall’amico!!! Al momento, forse no…

A parte gli impegni di lavoro (tra cui i prossimi voli parabolici e il fitto calendario di impegni professionali che vi attende), pensa che vi rivedrete adesso, nella vita reale?

Sì, sicuramente, ormai siamo quasi come fratelli, quindi rimarremo sempre in contatto. Certo con qualcuno sarà più facile: io sarò in Italia, Romain in Francia. Sarà più difficile rimanere in contatto con i colleghi russi, anche se approfitteremo di qualunque opportunità per rivederci. Di certo ci sentiremo via mail.

Impegni per il prossimo futuro?

Fino a tutto novembre rimarremo qui a Mosca per il Baseline Data Collection Postflight, poi saremo impegnati con L’Agenzia Spaziale Europea fino a marzo.

Nel suo futuro c’è lo spazio? Sì, sicuramente. Cercherò di avere altre opportunità nel settore spaziale, mi interessa in particolar modo l’esplorazione.

Cosa direbbe alle persone che lavorano in ambito spaziale e potrebbero, forse, essere un po’ scettiche o addirittura snob verso le simulazioni come il Mars500?

Le simulazioni sono molto utili. Dal punto di vista tecnologico sono importanti, altrimenti non riusciremo mai a raggiungere Marte, ma sappiamo da anni ormai che sono fondamentali per gli aspetti psicologici, soprattutto per i voli umani di lunga durata. Ovviamente simulare ha i suoi limiti, e il Mars500 non vuole avere la pretesa di essere un simulazione super hi-tech, ma le difficoltà le abbiamo provate in prima persona, e ce ne sono state molte. Su Marte in futuro ci potrebbero essere dei seri problemi, sia tecnologici che psicologici, quindi è bene arrivare preparati studiando tutte le variabili e mettendo a punto appositi protocolli.

In questi mesi abbiamo tutti imparato che per i futuri viaggi di lunga durata è fondamentale l’aspetto psicologico. Sembra che da qualche tempo siano allo studio nuovi programmi che abbinano periodi di simulazione a periodi di effettiva permanenza in orbita. Sa dirci qualcosa di più a riguardo?

Sarà molto interessante prendere spunto dalla missione Mars500 per ideare nuove tipologie di simulazione, sempre più utili allo scopo. Ad oggi ci sono già diverse proposte, ad esempio mandare un equipaggio sulla Stazione Spaziale Internazionale per 8-10 mesi, poi farlo tornare sulla Terra, in luoghi inospitali come l’Antartide o il Kazakistan per simulare un campo su Marte, e poi rimandarlo sulla Stazione. Sarebbe molto interessante, sarebbe molto bello anche essere coinvolto in un simile progetto se ci fosse.

Quindi partirebbe domani?

Per la Stazione Spaziale sì, di sicuro!

Questo non ci sorprende, come la capiamo!




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