ANNO 15 n° 134
Di Nino morto in cella a Viterbo: parla il supertestimone a “Le Iene”
Stasera, martedì 13 maggio, in prima serata su Italia 1: “Non fu suicidio, ma omicidio. Ho visto gli agenti della ‘squadretta’ entrare da andrea, l’hanno attrippato di botte tra urla e pianti. L’hanno portato fuori già morto. Posso riconoscere quelle guardie”
13/05/2025 - 20:22

VITERBO - Cosa è successo esattamente nella cella di isolamento dell’istituto penitenziario Mammagialla di Viterbo il 21 maggio 2018? Andrea Di Nino si è suicidato oppure è stato ucciso? Stasera, martedì 13 maggio, in prima serata, su Italia 1, nuove e importanti rivelazioni nell’inchiesta di Alessandro Sortino e Veronica Di Benedetto Montaccini. Nel servizio le voci di ex detenuti, le dichiarazioni di agenti penitenziari che lavorano tutt’oggi nel carcere di Viterbo e un’intervista esclusiva al supertestimone che racconta cosa avrebbe visto e sentito quel maledetto giorno.

“Non si è impiccato. L’hanno ucciso. L’ho visto io, ero lì”. Queste le parole di Roberto Toselli - ex detenuto e vicino di cella di Andrea Di Nino - ai microfoni della trasmissione. Toselli avrebbe riconosciuto e individuato cinque agenti penitenziari attraverso i soprannomi che utilizzavano in carcere: “Ispettore, Caramella, Bomboletta, Terminator e Sceriffo. Erano la squadretta della morte”. “Ho potuto scorgere tutto con uno specchietto - dichiara il supertestimone - e ho sentito urla disumane. Andrea gridava ‘Mamma, mamma’ e piangeva. Poi sono usciti portando il corpo di Andrea in orizzontale. E dicevano ‘Aò, questo è morto, è morto’”. L’uomo aveva già rilasciato una deposizione presso lo studio dell'avvocato di parte, messa agli atti della Procura di Viterbo che ora ha aperto un fascicolo per 'omicidio'

Molti sarebbero i punti oscuri di questa vicenda, alcuni riguarderebbero l’autopsia: “L’autopsia è fortemente contraddittoria – spiega il medico legale Pasquale Bacco - perché nella conclusione si parla di morte da asfissia per impiccamento, mentre all’interno sono i consulenti stessi a porre dei dubbi. Innanzitutto, non esiste un vero e proprio solco che corrisponderebbe al lenzuolo attorno al collo. Nelle foto vediamo solo due lesioni laterali, laterocervicali. Poi l’osso ioide risulta intatto ed è una cosa rarissima negli impiccamenti, è fragilissimo e si frantuma in 9 casi su 10”. “Il volto del ragazzo - continua il dottor Bacco - è roseo, mentre gli impiccati sono tipicamente cianotici. E nel corpo di Andrea non sono presenti neanche i segni del guanto e del calzino, ovvero del sangue che dovrebbe confluire nelle estremità”

Quello di Andrea Di Nino sarebbe un episodio isolato, oppure le morti misteriose e le violenze risulterebbero sistematiche in quegli anni? Le grida di aiuto dei detenuti arrivano sotto forma di decine di lettere: “Qua menano tutti. Pugni, calci. Ho problemi con la milza, con gli organi interni dopo le botte. Sono pieno di cicatrici”, si legge negli scritti arrivati all’associazione Antigone, intervistata da Sortino. E anche il Consiglio d’Europa fa rapporto all’Italia nel 2019, citando proprio il carcere di Viterbo e denunciando l’esistenza di una “squadretta punitiva”. Proprio la stessa citata dal supertestimone. 

Alessandro Sortino ha incontrato anche uno degli agenti presenti nel reparto di isolamento di Mammagialla nel giorno della morte di Andrea Di Nino, che dichiara: “L’ho trovato a terra, era già deceduto. Ho fatto il mio lavoro, ho fatto del mio meglio”. Poi aggiunge: “Di Nino non doveva stare lì, questo è vero”. Esiste, infatti, un certificato medico in cui il detenuto viene dichiarato non idoneo all’isolamento per le sue condizioni di salute mentale e fisica e per i precedenti episodi di epilessia. 

Per il decesso di Andrea Di Nino è già in aula un procedimento per “omicidio colposo” a carico dell’allora responsabile dell’Uos Medicina penitenziaria territoriale dell’Asl di Viterbo, di un assistente capo della polizia penitenziaria, del medico di guardia e del direttore della casa circondariale (quest’ultimo assolto in primo e secondo grado dalle accuse, ndr.). 

La famiglia - difesa dall’avvocato Nicola Trisciuoglio - non ha mai creduto alla versione del suicidio: “Amava troppo la vita - raccontano all’inviato - non vedeva l’ora di tornare dai suoi cinque figli”. E ricordano l’ultima visita ad Andrea: “Era agitato, disse che gli agenti lo avevano minacciato ‘Non esci vivo di qui, gli dissero. Come possiamo convincerci dell’impiccamento?”. Infine, l’appello: “Indagate, cercate. Perché nostro fratello non si è ammazzato. Lotteremo finché non arriveremo alla verità. Finché non otterremo giustizia”.

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