ANNO 14 n° 110
Detenuto morto in carcere d'anoressia, tre medici a giudizio
Il giovane, recluso a Viterbo, morì d'anoressia dopo trasferimento a Roma
18/02/2012 - 03:59

VITERBO - Saranno processati tre medici del reparto sanitario del carcere di Regina Coeli per la morte del 32enne Simone La Penna, avvenuta in cella il 26 novembre del 2009. Lo ha deciso il gup Nicola Di Grazia che, accogliendo la richiesta del pm Eugenio Albamonte, li ha rinviati a giudizio per omicidio colposo.

Il processo, per l'allora dirigente del reparto Andrea Franceschini e dei medici Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano, inizierà l'11 luglio prossimo davanti al giudice monocratico. Secondo l'accusa, i tre non si sarebbero accorti del progressivo deperimento di La Penna.

Rinchiuso il 27 gennaio del 2009 nel carcere Mammagialla di Viterbo, per scontare una condanna definitiva a due anni e cinque mesi, La Penna, che all'epoca pesava 79 kg per 1,73 m di altezza, cominciò a manifestare subito il proprio malessere: vomito, diarrea e iporrea, con perdita di quasi 20 kg. Quindi fu ricoverato presso l'infermeria del carcere e poi all'ospedale Belcolle di Viterbo. L'otto giugno fu poi trasferito a Regina Coeli.

A luglio stette per alcuni giorni nel reparto dedicato ai detenuti all'ospedale Pertini. Nel frattempo, il tribunale di sorveglianza respinse le richieste di concessione dei domiciliari, avanzate sulla base delle consulenti di medici che sostenevano come La Penna fosse in grave stato disadattivo psichiatrico, con ansia e umore depresso, e con disturbi dell'adattamento e dell'alimentazione, tutti legati alla presenza in carcere. Il 26 novembre poi La Penna, che ormai pesava 45 kg, fu trovato in cella privo di vita.

Per il pm Albamonte, i tre imputati avrebbero omesso di ''improntare un tempestivo approccio specialistico di natura psichiatrica alla patologia diagnosticata che veniva avviata solo dopo 43 giorni dal trasferimento a Regina Coeli'' e di ''esercitare il doveroso controllo sulla effettiva somministrazione della terapia farmacologica prescritta dal medico psichiatra''. Infine, riscontrata l'inefficacia del trattamento sanitario complessivo e di quello psichiatrico, avrebbero omesso ''di assumere, di propria iniziativa, le determinazioni mediche preordinate a favorire il trasferimento del detenuto presso una struttura sanitaria in grado di meglio fronteggiare la patologia''.





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