ANNO 14 n° 110
Dal liceo Ruffini al Cern di Ginevra,
''L'Italia non ci vuole pił indietro''
La storia della fisica viterbese Livia Soffi finisce sul blog di Concita De Gregorio
21/01/2018 - 02:01

VITERBO - Cervelli in fuga. La storia di Livia Soffi, ricercatrice viterbese del Cern di Ginevra, finisce sul blog di Concita De Gregorio.

Trent'anni, già campionessa di pattinaggio con vari titoli italiani, europei ed un secondo posto ai mondiali con i colori della Libertas Pilastro, la ragazza inizia il suo percorso di prim'ordine nel 2006, quando si diploma con il massimo dei voti al liceo scientifico ''Paolo Ruffini'' di Viterbo. Arrivano poi le due lauree in fisica nucleare - entrambe con la lode - all'università ''La Sapienza'' di Roma, un dottorato di ricerca e due anni di post-dottorato negli Stati Uniti, alla Cornell University. Per conto dell'università americana, Livia Soffi è attualmente ricercatrice al Cern di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Il suo desiderio? Fare il lavoro che ama e che ha scelto - in cui è un'eccellenza internazionale - in Italia. Ma il nostro è un Paese che non riesce a trattenere i suoi talenti migliori, e nemmeno a riportarli a casa. Come racconta la stessa viterbese alla giornalista di Repubblica.

''Sono anni - dice Livia Soffi - che ci raccontiamo la favola bella dell'università italiana che sforna talenti, li manda orgogliosamente in giro per il mondo e poi se li scorda, o meglio, fa finta di non conoscerli quando qualche anno dopo bussano alla porta per tornare a casa. Ed ecco che il gioco dei meriti diventa la gara delle colpe e delle responsabilità''.

''Nel mio caso allora - continua la ricercatrice -, la colpa maggiore ce l'ha il professore di fisica del liceo di una città tanto piccola quanto chiusa come Viterbo: ci appassionò così tanto alla materia che su diciassette studenti finimmo per laurearci e dottorarci in fisica in cinque. Seguono poi, nella lista dei colpevoli, i miei relatori di tesi di dottorato, che mi consigliarono di accettare una posizione di post-doc all’università di Cornell, negli Stati Uniti, per continuare il mio lavoro di ricerca al Cern di Ginevra''.

''Proprio la mia esperienza di lavoro con un'università americana - spiega la viterbese -, mi ha fatto conoscere diversi aspetti della vita accademica. Il primo è che siamo davvero bravi. Ci guardano con ammirazione dall’altra parte dell’oceano, ci 'rubano' come l'oro. Conoscono la qualità dei nostri insegnanti, si fidano della nostra preparazione. Ci assumono e neanche due settimane dopo ci danno in mano classi di studenti a cui sperano possiamo insegnare, prima di tutto, il metodo''.

''Purtroppo - aggiunge - conoscono anche come funzionano le cose in Italia. Recentemente ho fatto domanda per un posto da ricercatore a tempo determinato in Italia, e ho chiesto una lettera di referenza al mio capo americano. Il bando era scritto solo in italiano, e per inviare la lettera bisognava interagire con la segretaria che parlava solo italiano. Il mio capo mi ha scritto la lettera, ma l’ha accompagnata con una mail in cui era scritto 'non capisco perché tu voglia tornare in un posto in cui le cose funzionano cosi'. È stata una delle mail più difficili a cui rispondere''.

''È un sistema che sforna talenti - prosegue la Soffi -, ma che di fatto non funziona, da cui è facile uscire tra onori e gloria, ma in cui è difficile rientrare, lottando continuamente con clientelismi, favoritismi, burocrazia e mancanza di fondi. Io, come tanti, l'ho vissuto sulla mia pelle. Gli studenti americani nell'università della Ivy League non pagano meno di cinquantamila dollari l'anno per laurearsi. Io al primo anno di università pagai venticinque euro di tassa universitaria. Dopo tre anni avevo davanti a me a insegnarmi la meccanica quantistica Luciano Maiani, Nobel mancato, che ci spiegava il meccanismo GIM: 'GIM sta per Glashow, Iliopoulos e M… Me Medesimo'. Quelli più anziani di un anno fecero in tempo a farsi raccontare la matrice CKM dal professor Cabibbo, Nobel rubato, che a quella matrice da Nobel dava un pezzettino di nome''.

''È un'Italia che non ci vuole più indietro'' afferma amaramente. ''Nel 2017 si è aperto solo un posto da ricercatore a tempo determinato in Sapienza: evidentemente non era pensato per me. Se avessi voluto far domanda in America, ne avrei avuti a disposizione 21. Sicuramente mancano i soldi, ma ancora di più manca la lungimiranza. Manca un sistema trasparente che si prenda davvero cura del talento di cui si fa bello - conclude - ma solo sulle pagine di giornale''.






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