ANNO 14 n° 115
Confermato il ricorso in Cassazione: “Paolo vuole andare avanti”
23/06/2012 - 02:09

di Alessia Serangeli

VITERBO – Il giallo di Gradoli diventa più giallo. Perché la sentenza d’Appello non solo non risolve i tanti punti di domanda che da quel sabato 30 maggio di tre anni fa si rincorrono uno dietro l’altro, ma anzi ne aggiunge di nuovi.

Chi ha seguito e si è appassionato alla storia degli amanti diabolici fin dalle prime battute e credeva che avrebbe smesso di arrovellarsi le meningi si è dovuto ricredere: a caldo, il verdetto emesso ieri l’altro pare aver contribuito ad ingarbugliare ancor di più la già intricata faccenda. Alcun tassello è stato aggiunto al puzzle, anzi: gran parte di quelli inseriti nei sei mesi di indagini preliminari e in sede di procedimento giudiziario di primo grado sono stati smontati in Appello.

Fino alle 13,55 del 21 giugno Ala Ceoban era considerata la “mente del delitto”. Lei, molto più giovane della sorella Tatiana, era arrivata in Italia e aveva accalappiato il cognato Paolo Esposito con l’intenzione di prendere il posto di Tania nella villetta di Cannicelle e nel cuore della piccola Erika (la bambina nata dalla relazione tra Tania ed Esposito).

Quindi aveva convinto l’amante a sbarazzarsi di sorella e nipote (la tredicenne Elena, nata da un precedente matrimonio della moldava 36enne) e, insieme, avevano ordito il piano diabolico. Lei non aveva partecipato materialmente al delitto, ma lo aveva pianificato, aiutando poi Esposito nell’occultamento dei due cadaveri.Questa la ricostruzione che, il 13 maggio dello scorso anno, aveva portato il collegio viterbese presieduto dal giudice Maurizio Pacioni a condannare entrambi al carcere a vita. Giovedì sorso il colpo di scena. Il delitto non è stato premeditato, Ala non ha partecipato all’omicidio, ma soltanto favorito Esposito a nascondere i corpi. Per lei la condanna ad otto anni, di cui tre già scontati.

Il ‘buon’ elettricista di Gradoli con il pallino dei video pedo-hard ha ucciso la figliastra e la madre di sua figlia da solo in un delitto d’impeto. Per lui la sentenza di primo grado è confermata in pieno, ad eccezione del periodo di isolamento diurno: sei mesi anziché un anno.

“Sono andato a trovare Esposito in carcere”, ha riferito l’avvocato Enrico Valentini, all’uscita dal penitenziario viterbese di Mammagialla. “E’ molto provato, ma vuole andare avanti”. Del resto il legale, che aveva definito il verdetto “traballante”, lo aveva già annunciato.

“Le sentenze si impugnano, non si commentano. Ricorreremo al terzo grado di giudizio”. Infatti. “Insieme ai colleghi Mario Rosati e Pierfrancesco Bruno, aspettiamo di conoscere le motivazioni della sentenza (saranno depositate entro sessanta giorni, ndr), dopodiché studieremo la strategia difensiva per il ricorso in Cassazione”. Quel che è certo già da ora, è che tra le istanze da presentare ci sarà “il non accoglimento delle richieste istruttorie da parte della I Corte d’assise d’appello”.

 

 

 





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