ANNO 14 n° 89
'Come il vento' di Marco Simon Puccioni
Recensione di Laura Tanziani
12/12/2013 - 10:29

“Come il vento” di Marco Simon Puccioni, s’ispira a una storia che ha fatto cronaca: la vita e il suicidio avvenuto a soli trentasette anni di Armidia Miserere, una delle prime donne Direttore di Carcere. Infatti, a soli trentasette anni, nell’aprile del 2003 la Miserere si toglie la vita con un colpo di pistola nella sua abitazione di Sulmona e il titolo della pellicola è ripreso proprio dall’ultima frase della lettera di commiato di Armidia “Perché vento sono stata…”.

Presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Roma, deve anche la calda accoglienza del pubblico alla buona prova d’attrice di Valeria Golino che interpreta la Miserere con il dolore proprio di un’anima smarrita e annientata da una tragedia custodita gelosamente nel cuore per anni. Interpretazione che ha valso alla Golino il premio L.A.R.A.

La tragedia che si abbatte nella vita di Armidia è anch’essa cronaca nera: il marito Umberto Mormile, interpretato da Filippo Timi, educatore nell’attività della riabilitazione carceraria, sarà barbaramente ucciso e l’ordine della sua esecuzione sembra partito dall’interno del carcere forse per volontà della ‘ndrangheta stessa. La storia si snoda sulla vita della protagonista spesa interamente all’interno dei Carceri di Massima Sicurezza e tesa alla ricerca della verità sull’assassinio del suo compagno sino a farne una prigioniera anch’essa. La Miserere appare come una donna condannata dalla perdita del suo amato a vivere una vita al limite, una vita tesa verso la ricerca sino all’ultimo istante di giustizia e di amore per la giustizia.

Il suo carattere di ghiaccio, il suo piglio tutto d’un pezzo ne fanno una Direttrice Carceraria temuta e severa. La sua gestione degli Istituti di Pena è impeccabile e ferma al punto di non permettere alcuno strappo alle dure regole carcerarie. Una donna dolente e dolorosa come un’eroina che ha fatto del servizio allo Stato il suo unico scopo di vita e cui la vita stessa ha strappato l’affetto più caro.

La regia propone un esempio di cinema di denuncia che mette in primissimo piano la figura della protagonista lasciando invece molto sfocato quello dell’Italia piena di conflitti di quegli anni. Il film scorre lento, frammentato dai continui traslochi da un carcere a un altro, tra minacce, sigarette fumate sino all’ultima boccata, tra dolore lancinante tenuto segreto e frustrazioni continue. Peccato che il risultato di tutto ciò sia la sensazione di un film lento e a tratti prevedibile anche se merita comunque di essere visto per la storia che decide di raccontare, anche a discapito della lentezza e del ripetersi nella narrazione che purtroppo impediscono al film di spiccare il volo.

Una dolorosa curiosità, sappiamo dalla cronaca di quegli anni che quando la Miserere ha deciso di abbandonare questa vita sparandosi un colpo di pistola nella sua abitazione era in atto una Processione, quasi a voler significare che quando è impossibile assicurare i colpevoli alla Giustizia come nel caso del barbaro assassinio del suo compagno, forse nemmeno la Fede offre la sufficiente consolazione per continuare a vivere.




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