ANNO 14 n° 111
C'era una volta Enrico Mezzetti che chiedevae otteneva i voti Dc e di Fioroni
Accadde nel 1995, nel ballottaggio per le comunali contro Meroi, che poi perse
15/04/2013 - 04:00

di Codadilupo

VITERBO - L’inverno del 1995 non si decideva a cedere il passo alla primavera. Le prede rimanevano al caldo, aggomitolate l’una all’altra, nelle loro tane. Per i predatori la vita si fece dura, durissima. La resistenza verso la fame ben presto si affievolì e tutti fummo costretti a vincere l’innata diffidenza verso gli umani e ad avvicinarsi pericolosamente ai luoghi da loro abitati in cerca di cibo.

Anche il mio branco si dovette arrendere alla realtà e, dopo lunghe discussioni su quale versante dei Cimini discendere, la scelta cadde su Viterbo. Più umani, più cibo, fu la logica adottata dagli anziani per decidere. Così, un tardo pomeriggio, mentre il giorno s’arrendeva lentamente al buio, ci avvinammo guardinghi alle mura della città. Lì ci dividemmo in tre gruppi. “Ci rivediamo qui a stomaco pieno” ci dissero gli anziani dando via alla battuta.

Il mio gruppo, composto da un anziano e quattro lupacchiotti, non appena la notte avvolse le grandi tane degli umani, varcò guardingo Porta San Pietro e di corsa, nascondendoci di tanto in tanto dietro agli angoli o dietro a quei marchingegni che gli uomini chiamano macchine, percorse via Roma, poi via Cardinal la Fontaine, fino ad arrivare in una piazza. Lì sì verificò un fatto tanto imprevisto quanto spaventoso. Fummo tutti investiti da un fascio di luce violentissima, accecante. Erano i fari di un’auto, ma nessuno di noi lupacchiotti avevano mai visto una cosa del genere. Il panico ci assalì tanto che, nonostante gli ululati di rimprovero del lupo anziano che ci guidava, scappammo ognuno per proprio conto.

Io, attraverso un pertugio, mi rifugiai in un luogo che molti anni dopo seppi essere il chiostro di Santa Maria Nuova. Bellissimo e austero. Mentre ero accovacciato dietro un muro, angosciato dal pensiero se sarei mai riuscito a ricongiungermi ai miei compagni e a tornare sui miei monti, udì un gran vociare. La curiosità ebbe subito il sopravvento sulla paura, mi avvicinai saltai su una piccola finestra e, dall'alto, vidi una grandissima tana, dove c’erano almeno trecento umani. Alcuni stavano su un palco sormontato da uno strano stemma con al centro uno scudo e una grande croce rossa su cui spiccava la scritta Libertas, i più erano invece seduti davanti a loro. Il dilemma che arroventata tutti quegli umani era ''cosa fare dei voti che il nostro candidato sindaco ha preso al primo turno?''. Li diamo al candidato della Destra, che tutti chiamavano Meroi, a quello della sinistra, che invece appellavano Enrico Mezzetti? Valli a capire questi umani, pensai. Si vede che hanno lo stomaco pieno. Ma rimasi ad ascoltarli e mi resi conto che la gran parte di loro, tra Meroi e Mezzetti preferiva quest’ultimo.

A forza di evocarlo, ad un certo punto, Mezzetti si materializzò. Entrò nella grande tana accompagnato da due figuri, uno si chiamava Ugo Sposetti e l’altro Giuseppe Parroncini. Dedussi che dovevano appartenere anche loro alla sinistra, sebbene non capissi di cosa parlassero.

Mezzetti, fu accolto da uno scrosciante applauso, salì sul palco, prese in mano quell’affare che aumenta la voce a dismisura, è esclamò: ''Con questa Democrazia Cristiana, con questi democristiani possiamo e dobbiamo allearci per evitare che la città finisca in mano alla destra''. E giù applausi. Poi Mezzetti perse lo scontro elettorale con Meroi chiamato ballottaggio. Ma i voti che ottenne furono molti più di quelli del primo turno. Erano i voti di quei democristiani.

Questo episodio mi è rivenuto in mente l’altra sera, al rientro da una battuta di caccia per mettere qualcosa sotto i denti. Prima di entrare nella mia tana, appollaiato su un ramo, vidi il barbagianni Tullio. ''Sai cosa sta succedendo in città?'' mi chiese. ''No'' risposi io. ''Ci sono di nuovo le elezioni comunali per scegliere una specie di capobranco che chiamano sindaco'' replicò lui. ''Robe da umani'' osservai sdraiandomi sull’erba per godermi la bella e mite serata. ''La cosa buffa – continuò il barbagianni Tullio – è che sia la destra che la sinistra sono spaccate. Litigano da matti, se le dicono di tutti i colori''. E subito dopo: ''Pensa che l’altra sera sono sceso in città in cerca di qualche bel topo da mangiare e ho sentito con le mie orecchie un certo Mezzetti che le diceva peste e corna di quelli della sua parte. Sosteneva che si erano messi insieme con degli impresentabili. Ce l’aveva soprattutto con un certo Giuseppe Fioroni e un certo Ugo Sposetti''.

Sentendo nominare Fioroni mi ricordai che era proprio il capobranco dei quei democristiani che Mezzetti aveva coperto di lodi nel 1995 purché gli dessero i propri voti. E che l’altro, Sposetti, era quello che lo accompagnava nella ''questua''. Riferì l’episodio al barbagianni Tullio, il quale rimase interdetto. ''Certo che sono proprio strani gli umani'' sentenziò mentre si sistemava le piume delle ali.

Fu proprio in quel momento che dietro di noi si levo una voce nota ad entrambi. Era la volpe Adalgisa, da giovane la più corteggiata della montagna tanto era bella, che aveva ascoltato il nostro colloquio nascosta dietro un sasso. ''Voi non capite le logiche degli umani – ci disse –, ma vi giustifico, spesso non le capiscono nemmeno loro''. ''Cosa intendi dire'' le chiesi un po' seccato dalla sua spocchia. ''Intendo dire che Mezzetti tiene famiglia – ribatté lei –, soprattutto ha un figlio, Carlo, che ha da poco rotto con uno dei partiti della sinistra, il Pd. E si è arruolato nello schieramento di destra-destra detto Viva Viterbo, capeggiato da un certo Filippo Rossi. Non capite – argomentò la volpe Adalgisa – che Mezzetti non può far altro che votare per il figlio? E che gli serve una giustificazione più o meno plausibile per spiegare il suo triplo salto mortale carpiato verso la destra-destra? Del resto anche lui, almeno per tutto l'anno scorso, è stato iscritto a un altro partito della sinistra, il Sel. Non è mica un salto del fosso da poco conto il suo''. Dopo qualche attimo di silenzio intervenne il barbagianni Tullio: ''E cosa ci voletei fare – osservò –, i figli sò piezz'e core''. Io restai in silenzio e, ringraziando la sorte per avermi fatto nascere lupo anziché umano, mi ritirai nella tana.





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