ANNO 14 n° 115
Birra, un’opportunità
per il mondo agricolo
La riscossa dei piccoli produttori italiani verso le produzioni di eccellenza
16/05/2012 - 16:19

di Giovanna Bianconi

Chi non ha mai bevuto qualche sorso di birra fresca, spinto magari da una complice giornata estiva? In Italia trent’anni fa il consumo procapite di birra era di 14 litri, oggi è raddoppiato. Sei persone su dieci la bevono, e nella fascia di età tra i 18 e 44 anni si arriva a otto su dieci.

Ma la birra non è solo una bevanda chiara e leggera, da gustare ghiacciata: ce ne sono di tutti i colori (biancastre, gialle paglierino, nei toni dell’arancio, del rosso e del marrone), e per tutti i gusti. E, sorpresa, se integrale rappresenta un vero e proprio alimento, per giunta benefico.

Industriale, artigianale o addirittura fatta in casa, è un prodotto che per riuscire bene necessita di materie prime di ottima qualità. A cominciare dall’acqua, che ne costituisce circa il 90%, e che spesso è di sorgente perché dev’essere purissima. E poi il malto d’orzo, il luppolo, il lievito ed eventualmente la frutta, lo zucchero e le spezie.

L’orzo è un cereale che cresce facilmente a quasi tutte le latitudini, è ricco di enzimi che attivano la conversione degli amidi in zuccheri. Ma prima di utilizzarlo deve essere trasformato in malto attraverso un processo che prevede la macerazione dei chicchi in acqua, la loro germinazione seguita dalla torrefazione, che viene effettuata generalmente con una corrente di aria calda. Durante la maltatura, giocando con la durata del flusso d’aria e la temperatura, si ottengono malti di diverso colore e sapore, che caratterizzano la birra finale donandole colore chiaro o scuro e gusto verso il miele o il caramello.

All’orzo si possono aggiungere anche altri cereali (grano per le “weiss”, mais o riso per conferire secchezza o morbidezza al palato). Farro, segale, kamut o grano saraceno generalmente vengono utilizzati dai piccoli o medi produttori per ottenere birre ancora più particolari e riconoscibili dal consumatore.

Nel Paese del vino oggi sono più di 400 le piccole aziende produttrici, cosa impensabile fino a qualche anno fa. Si organizzano degustazioni, si apprezzano abbinamenti con il cibo, anche tradizionale. Molti ristoranti presentano ai loro clienti insieme alla carta dei vini anche quella delle birre, e le utilizzano per le loro preparazioni di punta.

A cosa si deve questa nuova ventata di gusto? Ai piccoli produttori italiani, che hanno cambiato il volto del mondo brassicolo, mutuando l’approccio che già esisteva nella tradizione enologica. E hanno fatto la scelta vincente, perché sono riusciti a coniugare le coltivazioni agricole locali di piccole e medie dimensioni con le necessità produttive delle microbirrerie, singole o consorziate.

Per gli agricoltori italiani si sono profilate quindi nuove opportunità, visto che la disponibilità nazionale di malto è ancora insufficiente. Anche il luppolo, mai coltivato finora su larga scala e quindi importato, può essere una nuova opzione per gli imprenditori più innovativi. A questo proposito si stanno svolgendo esperimenti già da qualche anno.

La parte che se ne utilizza è il fiore femmina, che viene essiccato e ridotto prima in polvere e poi in pratici pellet. Se ne coltivano una decina di varietà, che donano aromi differenti. Sebbene la dose che se ne impiega sia molto bassa, circa l’1‰, è un ingrediente prezioso e fondamentale, perché svolge una funzione antibatterica e favorisce la persistenza della tipica schiuma.

Il lievito è un fungo unicellulare che ha l’importante ruolo di trasformare gli zuccheri in alcool e anidride carbonica, in modo simile a quanto accade per il vino. Il Saccharomyces cerevisiae si utilizza per le “ale”, mentre il più comunemente impiegato è il Saccharomyces carlsbergensis, che crea le “lager”, le più diffuse birre al mondo.

Le spezie sono uno degli elementi caratterizzanti delle birre artigianali, e variano molto da zona a zona dello stivale. Anticamente servivano per conservare meglio la birra, ma con l’avvento del luppolo sono cadute in disuso. Cannella e coriandolo sono le più comuni, ma si utilizzano anche zenzero, genziana e molte altre, la fantasia italica come si sa non ha limite.

Le birre alla frutta non sono molto comuni perché presentano problemi di accostamento di gusto, grado alcolico, torbidità e conservabilità. Oltre alle più estive birre alla ciliegia o alla pesca, viene molto apprezzata quella alla castagna, forse la più diffusa tra le birre di questo genere.

La birra artigianale o integrale è detta anche “cruda” perché non essendo pastorizzata conserva inalterate tutte le sue proprietà nutrizionali. La maggior parte di esse sono “keller”, ovvero non filtrate, e si presentano torbide per la presenza del lievito vivo, che si deposita sul fondo. Questo tratto oltre a caratterizzare il prodotto dal punto di vista strutturale e organolettico, fa bene alla salute perché riequilibra la microflora intestinale e favorisce una pelle più sana.

La prossima volta che andrete in pizzeria con gli amici, provate a chiedere una keller al cameriere. Oltre a farvi bene alla salute, questa birra vi farà fare sicuramente anche quattro risate.

 




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