ANNO 14 n° 111
Addio al campo
sportivo del Murialdo
Quattro nuove palazzine al posto di un luogo caro a tanti sportivi viterbesi
10/04/2013 - 04:00

VITERBO - Là dove non c’era l’erba/domani ci sarà una città. Meglio, un villaggio, meglio ancora un villaggio smart, che poi in inglese vuol dire intelligente, ma anche furbo. Quattro palazzine composte di “soli dodici appartamenti ciascuno”, così dice il sito di Saggini costruzioni, che sta edificando questo po’ po’ di roba. Siamo a Viterbo, quartiere Murialdo, e lo Smart village di cui sopra sta sorgendo di fronte al palazzetto dello sport, là dove appunto un giorno non c’era l’erba. Domani, assicurano sempre dal sito, l’erba invece ci sarà: “Duemila metri quadri di verde, viali alberati, spazi attrezzati per i bambini”. Evviva la lottizzazione intelligente. E che dio la benedica, visto che le nuove case nascono al posto della struttura dei padri giuseppini: un grande edificio trasversale nato negli anni Cinquanta, convitto e collegio, che si affacciava sul giardino e sul campo di calcio. Di terra, non di erba, perché l’era a quei tempi era un lusso, e lo è tutt’ora, specie per il pallone di periferia, dei ragazzini.

Intendiamoci. Quel terreno era privato e come tale è giusto che sia stato destinato oggi ad altro uso. Specie se servirà ad attenuare l’emergenza alternativa, se fornirà – come promesso – nuove abitazioni ad impatto ambientale zero, o quasi. Se riempirà le tasche di chi lo ha posseduto e perciò ha deciso di farlo fruttare.

E però, in queste ultime settimane, molti hanno visto le grandi benne delle ruspe e dei bulldozer attaccare e distruggere un pezzo del loro cuore, pagine dell’album dei ricordi. E qui allora si parla dell’aspetto romantico della vicenda, perché con l’abbattimento di quello che alcuni ancora oggi chiamano – con un vago accenno di rispetto e commozione nella voce – “Il villaggio del fanciullo”, se ne va un pezzo della città, e dei viterbesi. La Viterbo sparita, ma non sparuta. La Viterbo che ricorda quel campo come porto sicuro dove ormeggiare per interi pomeriggi. A fare sport seguendo le regole, o anche solo a giocare e cazzeggiare, a far passare il tempo, intiepiditi dal sole di primavera, coi profumi dei fiori tutt’intorno, o a battere i piedi sulla terra gelata nelle corte giornate invernali. Col sedere ghiacciato sulle tribune di cemento, mentre in campo la Murialdina cercava un gol che non arrivava quasi mai: quel campo non era di dimensioni regolamentari, mancava di qualche centimetro (o qualche metro, vai a capire) per esserlo, eppure le partite si facevano lo stesso, perché anche gli arbitri hanno un cuore, in periferia. Si giocava il sabato pomeriggio, o la domenica mattina, due o tre partite una dietro l’altra, gli spogliatoi da liberare in fretta, i tifosi che si mischiavano sugli spalti, con gli occhi ancora gonfi per l’alzataccia. Qualche volta volava l’insulto, raramente lo scappellotto di correzione: erano i riti di ogni benedetta domenica, mica l’inciviltà di certi ultrà di oggi.

C’è chi conserva ricordi speciali di quel campo, di quel giardino. La prima convocazione. Il primo bacio come il primo gol. La prima espulsione. Quella litigata col mister, che lo sanno tutti che non capisce niente. C’erano terzini che si bevevano la fascia come bevessero un chinotto, e c’erano quelli che preferivano giocare al centro, per non sentire le risatine sceme e gli sfottò degli amici in tribuna. C’erano gli arbitri dell’Asla, creatura futuribile inventata da Gianfranco Cipolloni: divisa azzurra, tre fischietti uguali senza guardialinee e una sfida impossibile alla cupola delle giacchette nere. C’era la Murialdina del presidente Lombardelli, già ricordata. C’erano fino a poco fa anche i giocatori della Viterbese, almeno quelli più sfigati, piazzati nel convitto a pensione completa, perché costava meno di affittare una casa, anche se poi la società non pagava lo stesso. E poi, appena qualche anno fa, c’era il Doria San Martino, che scese dai Cimini per festeggiare proprio su quel campo che oggi non c’è più la sua storica promozione in Seconda categoria. Era un sabato pomeriggio freddo di inizio primavera, i cori di trionfo che rimbombavano per tutto il quartiere. E’ morto il luogo, certi ricordi non muoiono mai.






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