ANNO 14 n° 111
Un viterbese a New York, A casa di Rocky
>>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<<
18/07/2014 - 00:41

di Andrea Bentivegna

NEW YORK - La partenza alla otto di mattina di fronte al glorioso Madison Square Garden dopo una serata, per così dire, 'difficile'. Il viaggio, in bus, è iniziato naturalmente puntualissimo e dopo pochi isolati abbiamo imboccato l'Holland Tunnel che attraverso due chilometri e mezzo sotto il fiume Hudson si lascia alle spalle Manhattan per riemergere nel New Jersey. Segue uno stato semi-comatoso e quindi, quando riapro gli occhi, mi ritrovo a Philadelphia in Pennsylvania.

Mi guardo attorno stordito e mi dico che non deve esser una gran città, eppure, per il popolo americano, questo è il luogo natale della nazione e allora ecco qua, in un tripudio di bandiere a stelle e strisce, uno dietro l'altro, monumenti da brividi tra cui niente meno che la casa di Betsy Ross. Chi è costei vi domanderete. Beh lei ha avuto un ruolo fondamentale per la storia americana. No, non ha dato i natali ad uno dei padri della patria, ne lottato per i diritti civili ma ha, pensate, cucito la prima bandiera americana. Emozione.

Continua questo frenetico tour fin quando si arriva al Benjamin Franklin Parkway, un lungo viale alberato sul quale si affacciano tutti i musei della città dominato sullo sfondo dall'imponente timpano classicheggiante del Museum Of Art. Qua la cosa si fa davvero seria. La collezione esposta all'interno è di tutto riguardo ma nessuno, e dico nessuno, viene qui per questo. Tutti vengono a visitarlo perché sulla scalinata che conduce a questo edificio soleva correre ed allenarsi lo stallone italiano Rocky Balboa, immortalato con le braccia in una statua di bronzo al fianco dei celebri gradini.

Ora pensate a la ''Corazzata Potëmkin'' e immaginate che al posto dell'Armata Rossa che sale con incedere minaccioso ci sia una moltitudine variopinta di turisti, quasi tutti diverse decine di chili sovrappeso, che tentano invano di salirla di corsa tutta d'un fiato riprendendosi con l'immancabile smartphone. Una carneficina. Gente che crolla da una parte, altri che si accasciano dall'altra mentre solo pochi valorosi che raggiungono la sommità alzano le braccia come dementi festeggiando non si sa bene cosa. Imbarazzante.

Ne ho abbastanza, è ora di tornare a New York, di tornare a casa, risalgo sul bus e riparto continuando a domandarmi se Rocky e la costituzione siano entrambi simboli gloriosi di un'epoca che qui viene nostalgicamente celebrata in ogni angolo.

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