ANNO 14 n° 89
Peperino&co. San Martino, il gioiello barocco edificato per Donna Olimpia
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
07/03/2015 - 02:00

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Donna Olimpia Maidalchini era una delle viterbesi più ambiziose di cui questa città abbia memoria che infatti, quando rimase vedova del facoltoso concittadino Paolo Nini, non esitò a trasferirsi a Roma desiderosa di entrare a far parte dell’aristocrazia pontificia per ritagliarsi un ruolo di primo piano nell’alta società.

Riuscì, grazie anche al patrimonio che aveva ereditato, a sposare il nobile Pamphilio Pamphili, ben ventisette anni più anziano di lei e fratello del cardinale Giovan Battista. Non trascorsero molti anni quando rimase nuovamente vedova e così aiutò in modo decisivo, con cospicue somme di denaro, il cognato a salire al soglio pontificio nel 1644: il neoeletto, Innocenzo X, le mostrò immediatamente gratitudine e lo fece deliberando, poche settimane dopo, che le venisse concesso il principato di San Martino al Cimino.

Il borgo ereditato da Donna Olimpia era, a quel tempo, un piccolo agglomerato di case, con non molti abitanti, cresciuto attorno ad un’abbazia cistercense in modo abbastanza caotico, ma la cognata del Papa, che come abbiamo visto non difettava in ambizione, pretese che fosse immediatamente avviato un grande cantiere per trasformarlo in un piccolo gioiello urbanistico.

Molti degli interventi promossi a Roma dalla famiglia Pamphili e da Donna Olimpia portavano la firma di uno dei più grandi architetti della storia ovvero Francesco Borromini, ed è probabile che proprio l’architetto che rivaleggiò con Bernini abbia ispirato almeno l’impianto urbano del nuovo borgo adagiato sui monti Cimini.

La struttura immaginata era semplice ma rivoluzionaria, si cercò infatti di strutturare l’intera forma del paese a immagine e somiglianza di un edificio ecclesiastico. Questo aspetto risulta oltremodo interessante, in quanto, proprio in quel periodo, a seguito del Concilio di Trento, l’architettura delle chiese ''riformate'' aveva subito una radicale e decisiva rivoluzione ispirata da un principio di teatralità che aveva lo scopo di coinvolgere il fedele e che darà origine allo stile barocco.

Quindi nel nuovo progetto si crea una strada principale, una sorta di navata, che attraversando la porta meridionale, quella a valle, sale verso un ipotetico e simbolico altare, individuato appunto nella ''crociera'' di questa simbolica chiesa e rappresentato dall’abbazia e dal palazzo Pamphili alle spalle dei quali il paese si conclude con un emiciclo, un abside, che incornicia la porta settentrionale.

La teatralità dello spazio urbano è totale e altamente simbolica, ma come osserva lo storico Enrico Guidoni, la forma non viene mai privilegiata a scapito dell’utilità: le case che compongo l’emiciclo settentrionale ad esempio sono composte da abitazioni di forma trapezoidale come fossero i conci di un arco, quindi più funzionali, piuttosto che con pareti curve e dunque ben più difficili da vivere: un particolare che dimostra l’attenzione degli architetti nel conciliare la forma complessiva senza ignorare allo stesso tempo le esigenze degli abitanti.

Sebbene non sia mai stato chiarito completamente il ruolo e il peso dell’intervento di Borromini sia nel progetto urbano che nel restauro della facciata della chiesa (pare che l’architetto sia l’autore dei due campanili che incorniciano la facciata) è appurato che egli affidò il progetto delle mura del borgo a Marc’Antonio de Rossi, esperto di fortificazioni militari, a cui si deve dunque l’aspetto più caratteristico di San Martino: la lunga fila di case a schiera che compongono la cinta muraria e che discendono dolcemente verso valle formando quella suggestiva gradinata di tetti così caratteristica.

La brama di Donna Olimpia e la sua influenza resero possibile dunque la realizzazione di questo progetto urbanistico davvero singolare, il mito della città ideale e le ambizioni di potenti famiglie avevano già prodotto illustri progetti urbani nei secoli precedenti, basti pensare a palazzo Farnese a Caprarola o a Villa Lante a Bagnaia, ma se in questi casi il nuovo palazzo sorse ai margini del borgo, in alternativa alla pre-esistenza, a San Martino, l’intervento nacque dal cuore del paese e dà lì si riverberò agli edifici circostanti tutti costruiti per dar forma ad un’idea e ad un concetto unitario.

Del resto l’unicità di questo paese è ancora oggi evidente e affascinante e rappresenta un’ulteriore testimonianza della cultura barocca nel viterbese e una delle più alte dimostrazioni di questo stile ad una scala urbana e un dei rarissimi casi in cui una tale unitarietà sia applicabile all’intero borgo.





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