ANNO 14 n° 115
Peperino&Co.
La famiglia Nini e quei
palazzi oggi dimenticati
di Andrea Bentivegna
06/02/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Nella primavera del 1612 quando la viterbese Olimpia Maidalchini incontrò, in una locanda sulla via Flaminia, Pamphilio Pamphilij fu subito amore. Per modo di dire ovviamente. Lei, seppur solo ventenne era infatti una vedova ricchissima mentre lui, anche se nobile di alto lignaggio e quasi cinquantenne, vedeva il suo casato annaspare nelle difficoltà economiche. Il matrimonio poteva essere insomma vantaggioso per entrambi e, del resto fu così che andò.

Ma come era riuscita una donna, non certo aristocratica per nascita, ad accumulare una dote tanto cospicua da attirare le attenzioni di un Pamphilij? Semplice, con il primo matrimonio. L’ambiziosissima Olimpia, quando aveva solo 17 anni, rifiutò di prendere i voti come avrebbe voluto il padre e anzi sposò uno degli uomini più ricchi di tutta Viterbo, Paolo Nini. Dopo tre anni di felice matrimonio, nel breve volgere di alcuni mesi, la donna vide morire prima il marito e poi il figlio, rimanendo, improvvisamente, unica erede di vera e propria una fortuna. Le malelingue naturalmente non mancheranno di vociferare in proposito.

Bisogna ricordare che la famiglia Nini era, a quel tempo, una delle più in vista. Ricchissima al punto da possedere grandi e importanti palazzi in città. Sfortunatamente la loro fama è andata perdendosi nel tempo e purtroppo la stessa triste sorte di oblio ha travolto anche alcuni splendidi edifici dove un tempo vissero i vari membri di questo casato.

Come non ricordare a questo proposito il palazzo in via Annio, vero e proprio capolavoro dell’architettura viterbese, che con la sua facciata affrescata doveva, un tempo, far bella mostra di sé. Purtroppo oggi versa in condizioni disastrose, le pitture sono ormai quasi invisibili e, giorno dopo giorno, va perduto, nell’incuria e nell’indifferenza, un qualche frammento di questo capolavoro raro che non ha pressoché raffronti in città.

Un altro edificio appartenuto ai Nini, più modesto ma non per questo meno interessante, si trova in via Mazzini, proprio di fronte alla chiesa della Crocetta. Oggi ci si passa facilmente davanti senza farci troppo caso ma ad una osservazione meno distratta questo palazzetto può facilmente rivelare una bellezza e una eleganza antica oggi pesantemente compromessa.

Per capire come questo apparisse nel primo Cinquecento, quando fu costruito, occorre ormai una buona dose di immaginazione: il basamento era, allora come oggi, contenuto in due fasce di bugnato, ognuna in corrispondenza di uno dei due angoli, al centro si apriva il grande portale incorniciato da una fascia di bugne sfrangiate in peperino che è fortunatamente sopravvissuto ai secoli. Al primo piano, quello nobile, tre elegantissime finestre centinate adornate da lesene tipicamente rinascimentali, mentre al piano superiore si doveva aprire un arioso loggiato con cinque fornici che oggi si può solo intuire osservandone l’unico fornice oggi superstite (sul lato destro) che è stato trasformato in una finestra.

La ricostruzione di come questo edificio sarebbe dovuto essere è stata proposta dallo storico Bruno Apollonij Ghetti già diverse decine di anni fa. Già allora auspicava un restauro di questo palazzetto eppure, come avvenuto del resto per la splendida facciata di via Annio, siamo costretti a tutt’oggi ad osservare, inermi, questi tesori sparire lentamente sotto i nostri occhi.





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