a cura di Giuseppina Palozzi, psicologa e psicoterapeuta
Esistono frasi granitiche che sentenziano certezze.
Ma dico, si può essere liberi di chiedersi almeno perché Sanremo è Sanremo?
No perché messa così ricorda tanto quel “perché si!” che non lascia spazio, nemmeno per difenderla quella certezza.
In fondo, come si può proteggere qualcosa che non capiamo e di cui non conosciamo la storia, il valore?
Mettiamo il Festival, ad esempio…
si perché durante la settimana di Sanremo tutto si ferma, il mondo, le guerre, gli sbarchi, i terremoti, le bollette, netflix…persino la mafia, sarà per quello che tolgono scorte come fossero benefit.
E pensare invece che, 69 “dirige/canta” fa, il primo non fece neanche distogliere dalla cena gli ospiti del Casinò.
Mi chiedo quanto impegno, quanta dedizione e quanto crederci abbia fatto sì che oggi persino dalla Norvegia twittino #sanremo2019.
C’è stato un momento storico, però, in cui Sanremo si è accodato alle mezze-stagioni: non c’era più.
O meglio, era questo il sentore comune.
Fatto sta che, rientrata la crisi e tolte le dovute eccezioni, oggi il panorama musicale, anche fuori dalla Liguria, piange un’aridità ai massimi storici.
Quindi è Sanremo oppure chi l’ascolta e chi la produce, la musica, che non convince?
E soprattutto a cosa serve sbriciolare un’istituzione anziché onorarla e, se ce ne fosse bisogno, aiutarla?
Me lo sono chiesta ogni volta che in questa settimana siamo stati bombardati di sentenze irrisorie e coscienze pasionarie di ribellione alla giustizia.
Si respira una lenta delegittimazione di quelle istituzioni che invece hanno proprio la missione di tutelare, proteggere e che, quindi, raccolgono fiducia.
Lentamente veniamo privati di una particella alla volta.
La mamma non è più sempre la mamma, perché uccide o abbandona.
La legge non è uguale per tutti, perché non processa o se processa non è credibile.
Gli Italiani hanno finito i posti da aggiungere a tavola.
Mi spaventa un pensiero così, perché anziché stimolare, annienta.
E non lascia spazio ad una reazione ma all’impotenza.
Ma allora a che serve la giornata contro il cancro o contro il bullismo?
Serve a ricordarci che no, non è vero che “tanto è così” e non è vero che non si può fare nulla.
Che c’è chi lotta e vince.
Pure contro chi invece le coscienze vorrebbe anestetizzarle.
…’chè c’è chi le rose bianche le riceve sulla tomba, da una figlia che quel cognome lo onora e non ha paura di lottare.
In nome di valori che no, non credeteci a quello che passa…esistono ancora!