ANNO 14 n° 88
Lettera 22
''Alla goccia''
di Pina Palozzi
25/09/2020 - 12:13

Una pioggia galoppante. Quella pioggia che va di fretta, come solo i primi giorni di autunno. Quasi si fosse trattenuta finora e, come i frutti dagli alberi e la mela di Newton, cadesse cedendo alla naturale forza di gravità.

Corre sui lunotti scansata dai tergicristalli, scivola sulle calotte impermeabili degli ombrelli, ricalca le pozzanghere, come quando distrattamente a telefono si continua a scarabocchiare lo stesso disegnino sul foglio. Ha fretta. Non dà il tempo di alzare lo sguardo. Un secondo in più e hai l’acqua alla gola.

Un tubo che perde è l’ago nel pagliaio. E solo quando ti pungi te ne accorgi. Apri il rubinetto e invece dello scontato getto d’acqua calda, scende una flebile cordicina trasparente che sembra aver paura di scoprire cosa c’è in fondo al lavandino. “L’acqua non viene!”, avvisano dalla stanza accanto. No. L’acqua è andata persa.

Mi chiedo, per noi conta più chi si occupa di manutenzione e monitoraggio o che il servizio sia curato e l’acqua sia garantita e disponibile per tutti?

Il rubinetto della vasca, quella sanità “di troppo” che invece per mesi ci è sembrata acqua nel deserto, la buona musica ricordata ora mentre prima portava sfortuna, quel giornalismo denso e di valore tipico di chi sa resistere, la libertà di arrivare in ritardo per non sapere cosa mettersi davanti all’armadio.

Le soluzioni chirurgiche che spesso ci rassicurano in realtà ci illudono solamente. Il problema non si vede. La perdita resta. E chi si trova nei paraggi ne subisce le conseguenze più gravi, i più distanti e fortunati solo dopo che la pozzanghera si è asciugata.




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