ANNO 14 n° 110
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Viterbese in D
Cuori gialloblu
nel cuore della città

di Andrea Arena e Domenico Savino

VITERBO – Sono le otto della sera, ma non c’è nessuna voglia di fare l’aperitivo. No, qui in via della Palazzina c’è solo voglia di fare festa, la grande abbuffata, perché i leoni stanno tornando in città, e insieme a loro – dentro di loro – c’è il campionato vinto, incartato e infiocchettato. I tifosi sono tutti allo stadio, dopo essere stati costretti a seguire l’impresa di Rieti (3-0) da lontano, visto che la trasferta di Rieti era stata proibita loro per ragioni di ordine pubblico. Ma adesso chissenefrega: la Viterbese ha stravinto, il campionato è al sicuro, e il pullman sta tornando di corsa. “Sono a Terni”, “Sono a Orte”, “Stanno uscendo dalla supestrada”: le telefonate di susseguono, le bandiere sventolano, eccoci qua.

E invece il pullman non arriva. Si ferma prima, subito dopo la rotonda dell’Ipercoop. La squadra scende. E comincia a correre verso i tifosi. Come accade allo stadio, alla fine di ogni partita e dopo ogni vittoria: quest’anno, a dire il vero, è successo spesso. Solo che stavolta i tifosi non debbono starsene fermi in tribuna, o arrampicati sulle reti: possono correre anche loro. E allora corrono, corrono giù, incontro ai giocatori, è un abbraccio vero, alla faccia del senso unico della via (chissenefrega, oggi, dei sensi unici) e del traffico di rientro di quelli che hanno fatto il Primo maggio al mare. Poveretti: non sapete cosa vi siete persi.

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Squadra e curva adesso si fondono in una cosa sola, e grande, e rumorosa. Cori: “Portaci via da questa merda di categoria”. Fatto. E’ serie D. “Viterbo è forte e vincerà”. Vero. “Chi non salta è un reatino”. Tutti a zompare come grilli (no, non Grillo).

Ma non finisce qui, la festa. Si supera lo stadio, sempre a piedi, sempre abbracciati. E si sale lungo via della Palazzina, dentro Porta Fiorentina, giù via per via Matteotti, tra famiglie col gelato, immigrati stralunati, turisti, nani e ballerine. Il Corso diventa un fiume: da oggi chiamatelo Corso Trionfale. Poi piazza del Comune, dove i cori rimbombano e fanno tremarel’erba e i fiori di San Pellegrino. Sì, oggi anche i fiori sono gialloblu.

Escono fuori le magliette celebrative. “Sempre FeDeli”, dove il Fedeli è il presidente del Rieti – non amatissimo da queste parti e già battuto vent’anni fa in serie D quando possedeva la Ternana. “Come goDo”, che non è il titolo di un film hard ma un sentimento vero, e lungo, e profondo. E ancora: “Il bello Deve ancora venire”, una promessa che mette i brividi. Vola lo spumante, sotto le bandiere spuntano le birre. La festa va avanti, nella notte viterbese, una notte che mancava da un sacco di tempo, e che forse così – orgogliosa, rabbiosa, grande – non c’era mai stata prima. Neanche ai tempi dei professionisti.

Prima, anche a Rieti, nel feudo nemico, i giocatori non si erano certo tirati indietro. Spogliatoio praticamente allagato, balletti vari, gavettoni (tra i più bersagliati l’addetto stampa Alessandro Ursini), inni alle mogli più procaci tra quelle dei compagni (un classico) e soprattutto un coro: “C’è solo un presidente”. Dedicato a Piero Camilli e a Vincenzo, assenti allo Scopigno dopo il lutto famigliare (mercoledì è scomparso Silvio, fratello del Comandante). Camilli, in fondo l’artefice di tutto questa gioia.

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