ANNO 14 n° 89
Carmine Schiavone
Verso l'archiviazione
l'indagine sulla morte
del pentito Schiavone
La Procura: ''Nessuna negligenza
dei medici che lo avevano in cura''

VITERBO - Va verso l’archiviazione l’indagine della Procura di Viterbo sulla morte di Carmine Schiavone, il boss pentito dei Casalesi deceduto lo scorso 22 febbraio per un arresto cardiaco, dopo essersi sottoposto a un intervento chirurgico nell’ospedale di Belcolle. Dall’esame autoptico, infatti, è emerso che si è trattato di morte naturale, il cuore di Schiavone era piuttosto malridotto.

''Abbiamo aperto l’indagine per capire se si fosse trattato di un caso di malasanità – ha spiegato il procuratore capo di Viterbo Alberto Pazienti. L’ipotesi era che Schiavone fosse deceduto per un comportamento negligente da parte dei medici, che non l’hanno ricoverato nel reparto di terapia intensiva subito dopo l’intervento. In realtà, l’autopsia ha svelato che il paziente aveva un cuore malridotto ed è morto per questa ragione''.

L’ex boss, a lungo collaboratore di giustizia, era stato ricoverato a causa di una caduta dal tetto della sua abitazione e quindi sottoposto a un intervento di neurochirurgia su una vertebra. Alcuni giorni dopo esser stato dimesso, però, è morto per un arresto cardiaco. I familiari di Schiavone, a due giorni dal decesso, hanno presentato una denuncia alla Procura di Viterbo, sostenendo che ''poteva essere fatto di più'' al momento del ricovero e dopo l’intervento. Il pm titolare del fascicolo ha quindi subito aperto un’inchiesta e proceduto a iscrivere nel registro degli indagati una dozzina tra medici e infermieri di Belcolle che avevano avuto in cura il boss pentito. Il reato ipotizzato era omicidio colposo. I carabinieri del comando provinciale di Viterbo hanno poi sequestrato le cartelle cliniche, mentre il pubblico ministero ha disposto l’autopsia sul corpo del boss. Ma l’esame autoptico ha accertato che è stata una morte naturale.

L’ex boss era stato di recente processato e poi assolto a Viterbo per detenzione illegale di arma. Viveva da diversi anni in una località protetta nell’alto Lazio insieme ad un figlio e alla moglie, con una nuova identità. Aveva concluso da qualche anno il programma di protezione e, nel luglio del 2013, aveva terminato di scontare la reclusione domiciliare. Le sue interviste hanno avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, soprattutto dopo la desecretazione dell’intero verbale della sua audizione davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, dell’ottobre del 1997. In quella occasione Schiavone aveva fornito l’elenco completo degli automezzi, con targhe e nomi degli autisti, utilizzati tra la fine degli ’80 e l’inizio degli anni ’90.

La Procura di Roma, dopo la morte dell’ex boss, ha sequestrato il suo archivio. L’operazione è stata coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone e concordata con la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti presieduta dall’onorevole Alessandro Bratti. Il mistero più grande da svelare si nasconde in quei faldoni.

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