ANNO 14 n° 111
Feto nel cassonetto, falsa partenza
Saltata la prima udienza in Corte d’Assise per Graziano Rappuoli, l’infermiere accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere

VITERBO – Feto nel cassonetto, processo con falsa partenza. L'assenza di due giudici popolari per motivi di salute, ha fatto slittare al mese prossimo, la prima udienza di Corte d'Assise per Graziano Rappuoli, l’infermiere viterbese accusato di aver somministrato alla 28enne Alina Elisabeta Ambrus, incinta, un farmaco a base di ossitocina, per indurre le contrazione e quindi il parto. E di essersi poi sbarazzato, in accordo con la donna, del feto gettandolo in un cassonetto. Su di lui le accuse di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Rinviato a giudizio lo scorso 30 settembre dal gup Savina Poli, dovrà affrontare il processo in solitaria. Sulla donna, irreperibile da anni ormai, grava già una condanna a 10 anni di reclusione per gli stessi reati.

È il 2 maggio 2013, quando in via Agostino Solieri viene fatta la macabra scoperta: avvolto in una busta nera dell’immondizia, tra i rifiuti, il feto. Ventotto settimane, poco meno di un chilo di peso e una contusione alla testa, non compatibile, però, con le cause della morte. Un ematoma dovuto probabilmente all’urto con il water al momento della sua nascita, in quell’appartamento del quartiere di San Faustino, in cui la piccola ha visto la luce e anche la morte. Morte che sarebbe avvenuta per la totale mancanza di cure specialistiche dopo il parto, così come sostenuto, in fase di udienza preliminare, dal risultato di una perizia collegiale: secondo il team di esperti, il feto al momento del parto respirava, era vivo. Solo dopo sarebbe morto.

Ed è proprio da queste conclusioni che trae forza l’intero apparato accusatorio del pubblico ministero Franco Pacifici: per lui fin da subito si sarebbe trattato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dalla premeditazione. Ecco perché chiese, per Alina Ambrus, il massimo della pena possibile: l'ergastolo. Una condanna poi drasticamente ridotta a 10 anni di reclusione dal giudice Poli. Si tornerà in aula il 24 febbraio, di fronte al Collegio presieduto dal giudice Ettore Capizzi, a latere Rita Cialoni.



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