ANNO 14 n° 88
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E' la tomba della Ricamatrice
Sepolti insieme alla donna anche aghi in bronzo e argento e un rocchetto

VITERBO – E’ la tomba della Ricamatrice. Un nome che ispira poesia, storia, mistero. Una scoperta che già sembrava sensazionale quasi un mese fa, quando il sepolcro inviolato fu riportato alla luce a Tarquinia, in località Doganaccia, ma che adesso assume contorni fantastici, affascinanti, quasi onirici. Immagini della vita che fu, un tempo, in queste terre: una vita antica e pure civilizzata. Le tradizioni, i mestieri, i commerci con gli altri popoli del Mediterraneo. La maestria di certe lavorazioni di un popolo unico, quello Etrusco. Il culto per i defunti. L'incredibile nascondiglio di un terreno che per secoli ha tenuto lontano predoni e archeologi, fenomeni naturali ed edilizi, da un tesoro inestimabile.

Lo hanno confermato gli stessi autori dello scavo, premiati ieri in Regione, dal presidente del consiglio Daniele Leodori: la sovrintendente per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale, Alfonsina Russo, il professore dell’università di Torino Alessandro Mandolesi, le archeologhe Maria Gabriella Scapaticci e Maria Rosa Lucidi, le restauratrici Antonella Di Giovanni e Marina Angelini.

La consegna dei riconoscimenti alla Pisana è stata l’occasione per presentare le ultime novità sullo scavo. Confermato che lo scheletro ritrovato è di una donna, tra i 35 e 40 anni, vissuta intorno al IV secolo avanti Cristo. Ma dalle radiografie degli oggetti ritrovati è emerso qualcosa di stupefacente. Oltre all’aryballos (un vaso per olii profumati) e alle armi, gli esami a raggi x hanno evidenziato il ritrovamento di una pisside, cioè una scatoletta in bronzo, che gli esperti ipotizzano possa essere persino antecedente allo scheletro della nobildonna, addirittura realizzato due secoli prima. Al suo interno, sono stati individuati aghi sempre in bronzo e anche in argento, testimonianze dell’eccezionale perizia del popolo etrusco nella lavorazione del metallo. Non solo: c’è un oggetto che sembra proprio un rocchetto, per avvolgere e ssvolgere alla bisogna il filo da tessere. “Probabilmente la donna era ricamatrice di tessuti raffinati”, ha spiegato la sovrintendente Russo, sottolineando anche l’unicità degli oggetti ritrovati alla Doganaccia. E il presidente Leodori: “E’ la conferma che si tratta di una scoperta unica, tra le più importanti mai avvenute in Italia”. E infatti la notizia del ritrovamento aveva attratto l’interesse dei mass media di tutto il mondo, affascinati da cose antichissime che tornano alla luce. Affascinati come noi, da rimaere senza fiato davanti a questa Ricamatrice tarquiniese di tre millenni fa, più o meno.

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