ANNO 14 n° 89
Dopo il delitto urlò ''L'ho ammazzato'', ma Sing doveva stare in isolamento
Omicidio in carcere di Giovanni Delfino, la famiglia: ''Se è instabile, va curato''. E spunta un fascicolo a carico dei vertici di Mammagialla

VITERBO – (b.b.) Dopo averlo colpito per tre volte alla testa con uno sgabello di ferro, avrebbe urlato ''L’ho ammazzato, l’ho ammazzato'', attirando l’attenzione di tutti gli altri detenuti della sezione del carcere di Mammagialla.

A nulla sarebbero serviti i tentativi del 62enne Giovanni Delfino di difendersi e di chiamare aiuto: contro quell’improvviso attacco di violenza del compagno di cella Sing Khajan, non avrebbe potuto fare niente. Massacrato a colpi di sgabello, è morto nella tarda serata del 29 marzo scorso all’ospedale di Belcolle.

Ora il giovane indiano deve rispondere di omicidio di fronte alla Corte d’Assise di Viterbo. ''Ma che era matto lo sapevano tutti -, spiega un detenuto pakistano, suo vicino di cella per alcuni giorni - anche Giovanni, dal momento che più volte fece richiesta di essere spostato''.

E che Sing fosse un ''soggetto pericoloso per se stesso e per gli altri'' se ne sarebbero accorti anche i medici, gli psichiatri e gli psicologi che lo incontrarono durante la sua breve detenzione a Mammagialla. Nonché la commissione interdisciplinare che in più occasioni avrebbe parlato della sua situazione clinica, anche in una riunione svolta poche ore prima della tragedia, quello stesso 29 marzo.

''Sapevamo che Sing era finito in carcere per aver tentato di uccidere un uomo a Ladispoli alcuni giorni prima e che, recluso a Civitavecchia, aveva aggredito quasi mortalmente il compagno di cella. Per questo, una volta trasferito a Viterbo ed esaminata la sua situazione, per lui avevamo suggerito una sorveglianza a vista in isolamento'' sottolinea il dottor Roberto Monarca, medico del carcere fino allo scorso dicembre.

Eppure all’interno della cella numero 11, con lui, c’era anche Delfino.

''E’ chiaramente emerso come Sing dovesse stare in una cella singola perché socialmente pericoloso. E’ affetto da un disturbo della personalità di tipo borderline, che gli fa perdere il controllo per futili motivi - sottolinea l’avvocato Carmelo Antonio Pirrone, legale della famiglia Delfino - per questo non ci spieghiamo come sia stato possibile che sia finito in cella con un’altra persona. Per giunta di gran lunga più grande di lui''.

''Non è in Sing che dobbiamo andare a cercare il responsabile di questa morte. E anche i famigliari di Delfino lo sanno. Ma in chi non ha vigilato a dovere e non ha tutelato la vita altrui'' conclude.

Secondo quanto emerso, da mesi, sarebbero in corso delle indagini da parte della Procura per stabilire se all’interno del carcere siano state disattese precise direttive e per accertare eventuali altre responsabilità. Un fascicolo aperto a carico dei vertici di Mammagialla, dopo la denuncia del figlio di Giovanni Delfino.

''Sing non doveva stare con nessuno. Era strano e si vedeva. Lo ha ucciso per un accendino – spiega un vicino di cella dell’imputato – quella sera abbiamo sentito i colpi, le urla e poi più niente. Abbiamo immediatamente avvertito gli agenti con l’interfono, ma sono arrivati dopo una ventina di minuti. Non so quale scena si sia presentata davanti ai loro occhi dalla porta a sbarra, ma uno degli agenti iniziò a vomitare''.

Sul 32enne nelle prossime settimane verrà svolta una perizia psichiatrica: servirà a capire se sia o meno capace di intendere e di volere e se sia in grado di seguire coscientemente il processo. Si ornerà in aula il prossimo 6 febbraio per la nomina del professor Giovan Battista Traverso.

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