ANNO 14 n° 110
Chiude il ristorante della Camera tutti al self service (ma con le ostriche)

Tutti in fila al self service Montecitorio per 12 euro e con il piatto in mano. E addio ai pasti serviti in guanti bianchi nel ristorante della Camera, quel luogo miticodella politica apparecchiata a tavola da cui ci si alzava con la pancia piena e talvolta anche con un accordo tra partiti sullo stomaco. Insomma i deputati passano al vassoio e alle tovagliette di carta, come normali travet in una mensa aziendale e tra pochi mesi saranno costretti a rinunciare alla comodità dei camerieri che li coccolano. «Ancora un goccio di vino, onorevole? Questo lo offre la casa» (o meglio: la casta), si sentiva dire. Ma adesso, non più.

Il self-service al posto del ristorante è una dura rinuncia che comincerà dalla prossima legislatura, ma serve subito - prima che un grillo spunti magari dal piatto di spaghetti all’astice e mandi di traverso il pasto - per non nutrire più e per non ingrassare ulteriormente il corpaccione dell’anti-politica. Che sulla retorica dell’onorevole magna-magna e dei forchettoni a sbafo del contribuente, come si sa, ha basato la propria fortuna. La mensa a 12 euro funzionerà così: leader e peones possono scegliere tra tre primi piatti, tre secondi piatti più contorno e frutta, e la cifra quella sarà.

«La vera novità è che il conto verrà interamente pagato di tasca propria dal deputato», spiega il questore della Camera, Antonio Mazzocchi, il quale ha proposto questo nuovo sistema votato all’unanimità. Finisce così - ma attenti alle retromarce dell’ultimo istante, a cui la casta ci ha abituato - quel sistema per cui un onorevole pagava nel ristorante del Palazzo un bel pasto diciotto o venti euro e poi i restanti 35 o 40 ce li metteva l’amministrazione di Montecitorio, cioè i cittadini.

Sarà pure un nuovo luogo di socializzazione il self-service. Silvio Berlusconi e la donna delle pulizie mangeranno gomito a gomito e sfileranno insieme davanti al bancone dei piatti in mostra: «Prima lei, Cavaliere»; «Ma mi consenta, passi prima lei, dolce signora. Lì c’è il parmigiano, vuole che glielo passi?». Il fatto è che, finora, i lavoratori e gli impiegati di Montecitorio mangiavano in una mensa separata e spartana sottoterra, mentre gli eletti del popolo pasteggiavano comodamente al ristorante. Ora si passa alla mensa interclassista, quella del tutti insieme.

Stessi tavoli, medesimi menù, file comuni, per addentare un pezzo di carne. «Ma se qualcuno vuole fare lo splendido», specifica il pidiellino Mazzocchi, «non gli è proibito. Ogni giorno sarà disponibile un piatto deluxe, come le ostriche con lo champagne, e chi lo desidera se lo potrà pagare a prezzi normali». Chissà però chi avrà il coraggio di farsi vedere nell’angolo degli spendaccioni o dei golosoni, nella zona (magari protetta) di quelli che trascinati dal palato se ne infischiano della crisi e dell’odio anti-casta. Magari saranno quelli della sinistra che, assicura Berlusconi, «amano pasteggiare a caviale?».

I ristoranti lì intorno sono già in allarme. Self-service Montecitorio è una brutta concorrenza per loro. Anche perchè è un modo per non ripetere l’errore fatto dal Senato. Dove, pur di alzare i prezzi delle pietanze e di fare bella figura agli occhi dei cittadini contrari ai privilegi dei politici, una semplice e triste paillard ai ferri costa 24 euro e 80 centesimi. E tutti i senatori preferiscono andare a mangiare, a prezzi più contenuti, nei locali esterni a palazzo Madama. E le pescherie e gli altri fornitori dell’attuale ristorante di Montecitorio come prenderanno (male!) la svolta dell’austerità politico-prandiale? Anche i giornalisti mugugnano.

 

Avevano diritto a due tavoli riservati, nel ristorante degli onorevoli, ma niente: toccherà anche a loro mettersi in coda davanti al bancone, magari facendo lo sgambetto al collega per rubargli il posto davanti. Un tipo di scena non infrequente, per esempio, al Parlamento di Berlino, dove la mensa è uguale per tutti ed è molto affollata e dove si vedono deputati che si litigano l’ultimo piatto di patate con i loro portaborse. Anche a Bruxelles c’è un’unica mensa aziendale, e così pure alla Regione Lazio («A Rena’, mi prendi ’na rosetta?», è il grido che può capitare di sentire, rivolto da qualche impiegato alla presidente Polverini) e al Parlamento inglese dove il premier Cameron e i peones d’Oltremanica si passano il burro (quando va bene, l’olio) seduti allo stesso tavolo.

Ammesso che si trovi posto. Sennò? L’onorevole nostrano che mangia in piedi, con il rischio che il vino gli si rovesci sulla cravatta e gli spaghetti gli cadano dal vassoio, verrà visto magari dagli italiani come un penitente. E chissà se, perdendo in comodità, non acquisti in simpatia.

ilmessaggero.it




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