ANNO 14 n° 88
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Canterbury-Roma, impresa di Del Tosto
Il viterbese, 67 anni, č tra i 40 italiani che hanno completato il percorso

VITERBO - Roma, Piazza San Pietro, 10 agosto 2018. La barba lunga e la faccia arrossata. Le braccia, poggiate sulla staccionata del check point, che non sono da meno. Colpa del sole che picchia come un ossesso, ma pure della pioggia, del vento e dell’aria che punge come un gancio di Alì quando le strade si arrampicano e si avvicinano al cielo.

Lo zaino è ancora saldo sulle spalle, legato in vita per non affaticare troppo la schiena, perché è vero che ogni arrivo, alla fine, è solo un nuovo punto di partenza.

Lorenzo Del Tosto, classe 1951, prima di annusare il cielo di Roma di strada ne ha fatta parecchia (clicca QUI per vedere tutte le foto).

È partito da Canterbury insieme al suo amico Massimo – con il quale divide passione e iscrizione all’anagrafe - il 26 maggio festa di Agostino. Santo con bastone in mano e mitra in testa che i passi di Lorenzo aveva preparato 1400 anni fa.

Prima di Sigerico, prima che Guglielmo fosse il conquistatore, di Geoffrey Chaucer, del middle english e di sua santità (o come si fa chiamare) l’arcivescovo Justin Welby, attuale presidente della cathedra dell’anglicanesimo.

Un'idea neppure studiata. Nata d’istinto dopo aver fatto l’elastico, per due volte, sul cammino di Santiago. La prima per conoscere, la seconda per apprezzare e mettere i mattoni per i 2000 km delle Francigena. Un'impresa realizzata fino ad oggi da appena 40 italiani. Numeri sconfortanti ma numeri, ha pensato Lorenzo, fatti di pensieri prima che di concretezza. Di limiti imposti prima che di coraggio.

Da lì un'avventura lunga 76 giorni attraverso quattro nazioni. Tappe da 50 km. Solo quattro giorni di riposo. Stanchezza, qualche vescica e il tempo per meravigliarsi che non basta davanti alle facce pallide e ruvide di Dover che guardano senza poter più toccare le gemelle geologiche di Calais, eterne e separate amanti.

Poi in terra di Francia, dove le strade sono polverose e la temperatura poco gentile.

Dal sapore fiammingo di Arras che nel cuore porta ancora le ferite della guerra e in pancia i cunicoli che parlano di paure e speranze, al finissimo perlage di Reims, frizzante e amarognolo come le guglie di Notre–Dame.

Quindi in picchiata verso sud dove spuntano solitarie piccole calle bianche e cespugli di lavanda che poi crescono e aumentano fino alle porte di Besançon.

Pochi i viandanti incontrati. Una around alone per 1000 e passa km, in mezzo il ''lusso'' di dormire una notte in un castello messo a disposizione da un vecchio pellegrino che di strada, come loro, ne ha fatta tanta. E li incoraggia a tenere duro e non darsi per vinti perché ci sono le Alpi svizzere da scalare. Piene di insidie come una Gruyere, maestose e terribili dietro il volto rassicurante delle case dei montanari con i tetti elfici e le peonie alle finestre...

Bruciano i quadricipiti, si lamentano le caviglie che affondando nelle neve, brucia lo spirito quando la vetta è raggiunta. Versante italiano e finalmente nuovi compagni di viaggio con l’orecchio libero dalla tirannia dell’ossitonia. Pavia con la Certosa e il ponte coperto. Lucca con i suoi ricordi rinascimentali. Siena buon vino e isoglosse sporadiche.

Fino ad Acquapendente, Bolsena, Viterbo e quella Tuscia viterbese conosciuta ma mai fino in fondo, mai nella sua parte più vera. Ultime tappe prima di Roma, punto di partenza che Lorenzo ha raggiunto nel giorno del suo onomastico.

Nel giorno in cui le stelle cadono ma solo per avvicinarsi al cuore dell'uomo. Perché capisca che non è solo, che non esistono muri ma solo ponti. Tra il cielo e la terra. Tra gli uomini. Tra le nazioni.

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